Stanotte l'Italia scopre l'America. Ogni quattro anni, il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre. Tutto in diretta, perché questa è una storia in divenire: chiudono i seggi in uno Stato e si comincia la conta. Tocca attrezzarsi con un glossario e con una guida. Sentirete molte cose che vi ricordano la stessa notte elettorale di quattro, di otto, di dodici anni fa. Echi di frasi e di definizioni che tornano nel giorno delle presidenziali americane e poi spariscono fino alla prossima volta. Parole, calcoli, puntigli. Sentirete parlare di «voti elettorali»: è quel numeretto che indica quanto pesa elettoralmente quello Stato. La Florida 29, l'Ohio 18 e così via. Ecco, quel numero sarà legato a ciascuno Stato nelle scintillanti mappe che addobberanno gli studi televisivi questa notte: ogni Stato colorato di blu è assegnato a Barack Obama (democratico), ogni Stato rosso a Mitt Romney (repubblicano). Di norma, il candidato che prende la maggioranza delle preferenze in uno Stato, si mette in tasca tutti i voti elettorali. Quando sentirete parlare di winner takes all significa proprio questo. Succede in 48 Stati su 50, gli unici due che sfuggono a questa regola sono Maine e Nebraska. Non conteranno molto, comunque.
Qui conviene fermarsi un momento. Perché quel numero dipende da quanti abitanti ha uno Stato. Più è popoloso, più voti elettorali avrà. Ci si chiede: perché allora nessuno parla della California (che ha 55 voti elettorali) e del Texas (che ne ha 34), mentre tutti si concentrano sul benedetto Ohio, sulla strabenedetta Florida e persino sul New Hampshire, che ha appena 4 voti elettorali?
La risposta è che gli Stati molto orientati politicamente vengono già assegnati dalle tv prima del voto: si ritiene impensabile e addirittura impossibile che Romney vinca in California o a New York. Quindi, paradossalmente, quei posti non contano. La partita si gioca in quegli Stati che nella mappa iniziale saranno gialli o grigi o di qualunque altro colore siano gli Stati in bilico: li sentirete chiamare swing States, preparatevi. Quando chiuderanno i seggi, le tv cominceranno a sfornare gli exit poll e lì si vedrà chi vincerà in quegli Stati che non sono ancora colorati di blu o di rosso. Occhio e orecchie, perché se lo scarto tra i due candidati sarà minimo, arriverà un'altra frase magica: too close to call, troppo incerto per essere assegnato. Per vedere a chi andranno i voti elettorali di quello Stato, allora bisognerà aspettare lo spoglio. Lì la notte televisiva (oltre che quella politica) si allungherà. Chiuderanno prima i seggi della costa Est: all'una di notte italiana arriveranno i primi risultati. Quelli di Georgia, South Carolina, Vermont e Virginia. Quest'ultima è importante, perché sta nel gruppo degli swing States. Oppure battelground States, perché, se la partita sarà aperta, allora vedrete che qualcuno userà la definizione più battagliera, appunto. Da quel momento, comunque, arriverà un'altra perla. Con il passare del tempo alcuni Stati saranno etichettati come lean Obama oppure lean Romney, quindi con una tendenza in favore di uno dei due sfidanti. Cambierà il contatore dei voti elettorali assegnati all'uno e all'altro, come in una specie di conto alla rovescia verso il momento chiave.
Il numero magico da tenere a mente è 270. Chi raggiunge per primo questa quota con la somma dei voti elettorali, si prende la Casa Bianca: 270 perché è uno più di 269, ovvero la metà di 538. Prendete un appunto anche per questo: 538 sono i Grandi elettori che il 17 dicembre eleggeranno il presidente gli Stati Uniti. Perché stanotte, nella notte in cui l'Italia scopre l'America, tecnicamente non si elegge proprio nessuno. Quella americana è un'elezione indiretta: i cittadini non votano per i due candidati in corsa, ma per una lista di Grandi elettori del loro Stato legata a ciascun candidato. Saranno loro che, con il mandato degli elettori che li hanno scelti, nomineranno il comandante in capo dell'America. I grandi elettori di ogni Stato sono proprio quel numero che prima abbiamo chiamato voto elettorale. Due espressioni per un solo concetto. La notte in cui si scopre l'America è un mosaico da comporre. Sembra complicato, è vero. Sembra lontano, è vero. Con l'America spesso è così: la semplicità sembra il caos. Ma è solo perché ce ne occupiamo una volta ogni quattro anni.
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