Chiamiamolo il paradosso dell'olio extravergine. È il prodotto più semplice e prelibato del made in Italy agroalimentare, il più ricco di nutrimento e di proprietà terapeutiche, quello di uso quotidiano ed ecumenico. Eppure... Nel vino ormai chiunque sa che esistono etichette top cariche di onori e dall'enciclopedico corredo organolettico e bottiglie quotidiane, sane ma ruspanti. E può scegliere, guidato da gusto, portafogli e soprattutto etichette che danno informazioni importanti. E il vino lo bevono solo gli adulti, e nemmeno tutti. Con l'olio extravergine d'oliva invece condiamo di tutto e lo diamo in abbondanza anche ai bambini: ma facciamo poca differenza tra quello dei brand industriali che affolla gli scaffali di ipermercati e discount e quello prodotto con cura e amore da aziende agricole modello e che brilla nel suo verde brillante, rivestito da aromi freschi e piccanti. «Nel vino puoi affidarti all'etichetta: se dice Dom Pérignon 1964 quello ci trovi, non il Beaujolais Nouveau del mese scorso. Le etichette dell'olio d'oliva, invece, dicono tutte la stessa cosa, che sia un olio meraviglioso o una schifezza».La sentenza inoppugnabile, pronunciata da Flavio Zaramella, presidente dei Mastri Oleari, è inserita nel libro Extraverginità di Tom Mueller, edito dalla Edt (254 pagine, 18 ) e presentato ieri a Roma. Mueller è un giornalista Usa che da anni si occupa di olio e che per farlo meglio si è trasferito in Liguria. Il volume, già uscito in molti Paesi, gli ha procurato un certo successo e nemmeno una querela. Malgrado racconti anche aspetti controversi dell'extravergine soprattutto italiano. Spesso sono gli stranieri a doverci raccontare la verità su come siamo fatti. Anche perché ci amano e ci rispettano più di quanto facciamo noi con noi stessi e con i nostri vanti. A Mueller non va giù, per dire, che gli antichi Romani avessero escogitato una filiera produttiva dell'olio assai più semplice ed efficace di quella esistente. Tracce ne restano sul monte Testaccio di Roma, una collinetta artificiale costruita con i resti delle anfore che trasportavano da ogni angolo dell'impero l'oro verde: ognuna recava indicazioni su provenienza, produttore, peso, qualità, nome dell'importatore e del funzionario che aveva trattato la merce: un modo per evitare frodi e contraffazioni. Frodi e contraffazioni che oggi infettano un mondo altrimenti esaltante: camion carichi di olive «da taglio» che attraversano l'Italia; pratiche illecite ma difficili da scoprire come aggiunta di aromatizzanti, coloranti, deodoranti; le mani della criminalità organizzata. Storie losche, squallide. Che si alimentano anche della scarsa cultura di noi consumatori per le caratteristiche di quello che è «un succo di frutta». Fruttato, freschezza, acidità, piccantezza: caratteristiche che il nostro gusto medio rovinato da prodotti industriali percepisce come strani e sospetti. E poi «molti sono abituati all'olio del nonno o del contadino, fatto con olive stantie o raccolte da terra, e quindi pieno di difetti. Ma sono convinti che quello sia buono e gli altri cattivi». E allora, come scegliere un olio buono? Per Mueller bisognerebbe innanzitutto «assaggiare».
Ma al supermercato non si può, allora bisogna badare alle date di spremitura o scadenza (contrariamente al vino, l'olio peggiora invecchiando), badare alla dicitura «extravergine», che esclude raffinazioni chimiche, privilegiare prodotti Dop o Igp o che abbiano riportato premi in concorsi seri, e soprattutto diffidare dai grandi affari. I prezzi elevati non garantiscono la qualità, «ma quelli stracciati - sotto i 4-5 euro al litro - dovrebbero far sospettare che il prodotto che state per acquistare sia di bassa qualità». Facile, no?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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