di Andrea Cuomo
Se un bimbo di oggi piombasse di colpo a una festa di compleanno diciamo nel 1975 sbigottirebbe per tre cose. Uno: nessun regalo tecnologico. Due: nessun animatore (eppure ci si diverte lo stesso). Tre: la torta non ha l'effigie di Violetta o degli One Direction, ma è un'inesorabile e adultissima Mimosa. Al massimo un Saint Honoré.
Già, anche la pasticceria ha il suo modernariato e il suo nostalgismo. Oggi è tutto un macaron, quella doppia meringhetta aromatizzata e colorata riportata in auge dal film di Sofia Coppola Marie Antoinette che ha trasformato le pasticcerie in negozi di cosmetica per la disperazione dei golosi dallo stomaco mediomassimo, visto che per saziarsene ci vuole il corrispettivo economico del mutuo mensile per un trilocale. E chi si ricorda più del Profiterole? E il Biancomangiare, con quel suo nome così poetico, da quanto tempo non lo assaggiate?
Oggi l'indice Dow Jones del glucosio ha indice positivo per i cheesecake, che hanno il vantaggio di poter essere «toppati», ovvero guarniti, in molti modi. Per i pancake, focacce made in Usa che hanno invaso le nostre colazioni, soprattutto quelle del fine settimane, più tarde e sostanziose. Per il Tiramisù, unico caso di dessert capace di un cross over temporale degli ultimi quattro decenni, al punto che una pasticceria romana ne ha fatto lo scettro di un impero su cui non si placa mai il ponentino. E poi c'è il fenomeno del cake design (con la sottocategoria dei cupcake): prodotti che hanno il pregio di riempire più gli occhi che lo stomaco, con buona pace dei gourmet. Che non a caso disdegnano il fenomeno come vezzo da donnicciole romantiche.
Eppure è possibile ricostruire la nostra storia recente partendo dalla fine del pasto. Negli anni Settanta il dolce era questione prettamente domenicale e c'erano prima di tutto le paste (a Roma dette «pastarelle»), che consentivano una compilation di tradizioni pasticciere e costringevano a snervanti trattative o manovre per evitare quel diplomatico che proprio non piaceva a nessuno. Quando la taglia del dolce cresceva non c'erano molto alternative: in negozio si acquistavano Mimosa, Saint Honoré, Bavarese, Mont Blanc o Zuccotto. Al ristorante si finiva quasi sempre per ordinare il crême caramel servito in usurati stampini di acciaio. In casa si producevano spartani ciambelloni, umili crostate, il risparmiosissimo salame di cioccolato nel quale venivano riciclate le gallette spezzettate e morbidissime Torte Margherite, che hanno cresciuto folle di golosoni.
Poi arrivano gli anni Ottanta e compaiono esotismi come il kiwi ad arricchire l'arcobaleno delle crostate alla frutta; la farina di cocco protagonista di anni ruggenti quanto rapidamente tramontati; le crêpe (due al top: alla Nutella e al Grand Marnier) alle quali dobbiamo ancora la presenza nelle nostre cantine di apposite padelle ormai impolverate; i rotoli di cioccolata che per molti giovani di allora sono stati l'apprendistato alla cucina (a volte senza rimpianti). I più colti e mitteleuropei scoprono anche la Sachertörte, di difficile produzione casalinga. Gli anni Novanta vedono il pensiero unico della Panna cotta, mantre il crême caramel viene soppiantato dalla più croccante e affumicata crema catalana.
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