Politica

Ora il centrodestra scelga un programma

La questione di chi avrà la rappresentanza della destra, a Berlusconi formalmente negata dal blocco burocratico-giudiziario, è ovviamente dirimente, e decisiva

La destra italiana deve reinventarsi. Il suo spazio è quello dell'opposizione sociale intelligente e intransigente. Bisogna incominciare da subito. Può la politica nel 2014 procedere per aggiustamenti e chiacchiere e alchimie dei conti pubblici e riforme istituzionali in alambicco? Certo che no. Elezioni ci saranno comunque, quelle europee. La spinta allo scioglimento di questo Parlamento e al suo rinnovo è forte: concorrono le urgenze della crisi di sistema, le ambizioni di una nuova generazione nella leadership a sinistra e a destra (qui con il punto interrogativo, ma quella sulla futura candidatura a premier per Forza Italia è sempre più una domanda di Pulcinella). Ora c'è anche una stabilizzazione finanziaria, sotto condizione e dunque più apparente che altro, legata all'andamento favorevole al bilancio pubblico delle valutazioni di mercato sul debito pubblico italiano (lo spread con i Bund). L'argomento secondo il quale non si può toccare nulla, sennò sono guai, è indebolito nei fatti, è quasi svanito. Oltre tutto, ognuno sa che la stabilità politica vera la danno Camere percepite come espressione legittima di una volontà popolare, capaci di assolvere a un mandato chiaro sotto il chiaro controllo di una vera opposizione: e non è questo il carattere della legislatura nata dalle elezioni di febbraio 2013, dal fallimento di Bersani, dalla rimonta di Berlusconi, dalla rielezione di Napolitano, dalla nascita e dal rapido fallimento del governo di intesa e pacificazione presieduto da Enrico Letta, dal piccolo ribaltone dei ministeriali della destra e dallo scioglimento pietoso del centro. A sinistra il tratto distintivo della segreteria di Matteo Renzi è il rinnovamento generazionale, la spinta attivistica, la fretta di concludere, un'ansia magari un po' generica ma autentica di riforme qualificanti del sistema, la voglia di non farsi incollare addosso l'etichetta della continuità, che invece sta appiccicata al presidente del Consiglio come una seconda pelle. Il giovane Renzi rischia parecchio, il mestiere del segretario di partito consuma velocemente immagine e significato di un'esperienza nata per dare l'assalto al governo del paese a colpi di mandato popolare, per realizzare cose nuove, almeno in teoria, per dare sfogo agli astratti furori di una generazione che non ne può più del disfattismo e del mosciame incarnato da una vecchia e spompata nomenclatura. Il marketing politico oggi premia, come la dea Fortuna, il fattore novità, ma è una divinità volubile e instabile, come ciascuno sa per antica e nuova prova. E a destra? Qui la situazione è più complicata, perché non è direttamente spendibile il coagulo fenomenale costituito per due decenni dal nome, dalla storia personale, dalla fantasia e dai balordi errori accompagnati da istinto infallibile tipici di Silvio Berlusconi. Il Cav. è là, e non ha l'aria di uno che intenda godersi il famoso «meritato riposo» dopo avere rifondato il suo partito delle origini e fronteggiato con il noto calore la circostanza ultima dell'assalto forcaiolo. La sua persistenza con un consenso che non evapora tanto facilmente è la dimostrazione del fatto che è possibile corrodere un progetto politico e chi lo incarna, ma fino a un certo punto, dal momento che l'Italia del 1994, da vent'anni inquieta e alla ricerca di una soluzione radicalmente nuova, quell'Italia che non si era mai vista prima, non può scomparire con la sentenza Esposito, mediocre risorsa da sfruttare per politici pigri che non sanno fare in prima persona il loro lavoro civile e lo appaltano alle faziosità in toga. Ma la questione di chi avrà la rappresentanza della destra, a Berlusconi formalmente negata dal blocco burocratico-giudiziario che gli è stato opposto nella recente deriva autoritaria mascherata da trionfo della legalità, è ovviamente dirimente, e decisiva. Però non è tutto. La destra ha bisogno di offrire al ceto medio, al capitale e ai lavoratori un nuovo programma. Sopra tutto, un nuovo programma di società, una visione del riscatto dell'economia italiana nel contesto europeo e mondiale all'altezza dei bisogni e delle aspettative di un popolo in gravi difficoltà di ceto, familiari e personali. La discussione sui nuovi dirigenti di Forza Italia, la partecipazione al gioco della legge elettorale, il rilancio attento dello spirito di coalizione in vista delle elezioni, tutto questo ha un senso soltanto se si capisce fino in fondo che in materia di Europa, di banche, di moneta unica, di fisco specialmente, c'è chi sa inventarsi una nuova intransigenza, un percorso intelligente che è scandito da parole d'ordine chiare. Per tempo, con audacia, bisognerebbe promuovere stati generali dell'economia, mobilitare persone ed energie, esperti della crescita economica, imprenditori e soggetti della protesta meno instabili e generici dei Forconi, e fissare in un manifesto alcuni punti scandalosamente dirimenti, ed esplosivi dal punto di vista di una seria comunicazione politica, capaci di dare un senso futuro e persuasivo al paese incancellabile a colpi di sentenze. Solo così si rende un vero servizio al paese e si aiuta la politica moscia e scombiccherata di oggi a riprendere la sua autonomia e il suo primato utile agli italiani.

Altrimenti non restano che il tran tran e la chiacchiera sul semestre europeo, destini grigi.

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