Damasco - L'origine del contagio è quel discorso pronunciato il 4 giugno 2009 all'Università Al Azhar del Cairo, culla del pensiero islamico. «Sono venuto qui per cercare un nuovo inizio tra Stati Uniti e musulmani, un inizio - annunciò Barack Obama - basato sull'interesse e sul rispetto reciproco». A trentanove mesi di distanza quelle parole suonano il primo sintomo di una politica malata generatrice di un'epidemia che rischia di consegnare il Medio Oriente al fondamentalismo. Non a caso nel 2011, due anni dopo quel discorso, la Casa Bianca consegna ai Fratelli Musulmani ed ai loro sponsor arabi la Tunisia, l'Egitto e la Libia, i tre Paesi più decisi, in passato, nel contrastare il contagio integralista. E il colpo finale rischia di venir messo a segno in Siria, dove l'amministrazione democratica appoggia apertamente un'opposizione armata manovrata da formazioni jihadiste e qaidiste.
La vera cartina di tornasole del contagio è però l'Egitto. A Bengasi Obama ha perso un ambasciatore. Al Cairo rischia di perdere tutto e trascinare nel baratro pure noi europei. Per capirlo basta considerare l'incubo di un Canale di Suez controllato dai fondamentalisti. Un Canale chiuso al traffico marittimo ed energetico. Un Canale trasformato in una tagliola con cui ricattare l'Occidente. Per comprendere questo fallimento globale bisogna ritornare a quel 4 giugno 2009. Il «nuovo inizio» evocato da Obama non è una semplice reazione alla guerra al terrorismo di George W. Bush. Dietro le sue parole ci sono le elucubrazioni dei think tanks democratici che indirizzano la sua politica estera.
Il concetto del «nuovo inizio» parte da alcuni dati di fatto. Israele è un alleato troppo piccolo per garantire il controllo del Medio Oriente. I deposti regimi del Cairo, di Tripoli e Tunisi non garantivano invece il sostegno delle grandi masse islamiche. Per questo gli «apprendisti stregoni» democratici suggeriscono di sostituire i vecchi alleati con il Qatar e la Turchia, ovvero con due Paesi capaci d'influenzare i Fratelli Musulmani. Ai sauditi viene invece affidato il compito di esorcizzare il pericolo salafita. Attraverso questa triplice alleanza l'amministrazione Obama s'illude di convertire le masse islamiche alla democrazia e trascinarle nell'orbita americana. Ma dimentica alcuni particolari.
Il primo è che in Qatar e in Arabia Saudita non s'è mai tenuta un'elezione, non esiste un Parlamento e le libertà civili sono il privilegio di ristrettissime elites. Dimentica che Sayyib Qutb, l'ideologo e il profeta dei Fratelli Musulmani egiziani impiccato da Nasser nel 1966, non ispirò solo gli assassini del presidente egiziano Sadat, sconfitti poi grazie a Hosni Mubarak, ma anche Bin Laden e il suo successore egiziano Ayman Al Zawahiri. Da questo punto di vista l'Egitto è il vero focolaio del contagio. Un focolaio abitato da 82 milioni di persone dove, come dimostrano i risultati elettorali, un 50 per cento della popolazione si divide fra i salafiti sponsorizzati da Riad e i Fratelli Musulmani del presidente Mohammed Morsi organizzati dal Qatar. L'alleato a cui Washington ha concesso dal 2011 ad oggi più di 17 miliardi di dollari di aiuti e armamenti all'avanguardia è insomma alla mercé di Arabia Saudita e Qatar. Ovvero di due paesi felici di fare affari con Stati Uniti ed Europa, ma poco disponibili ad assecondare i sogni di un Islam democratico teorizzato nei salotti di Washington.
Non a caso quando si è trattato di conquistare Tripoli le forze speciali del Qatar hanno consegnato la capitale ad Alì Belhadji, un ex capo jihadista libico passato con i Fratelli Musulmani. Non a caso il colpo di mano con cui il presidente egiziano Morsi si è liberato dal controllo degli ultimi generali anti-fondamentalisti è stato preceduto, solo 24 ore prima, dalla visita al Cairo dell'emiro del Qatar Ali Hamad Bin Khalifa Al-Thani. Tutte mosse a cui la Casa Bianca ha assistito con compiaciuta indifferenza.
L'ultimo atto della fallimentare commedia ispirata al cosiddetto «islam democratico» doveva essere la consegna della Siria alle formazioni armate appoggiate da Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Una mossa capace di trasformare il contagio in un'epidemia irreversibile. Una mossa della cui opportunità molti a Washington incominciano a dubitare. Soprattutto dopo la tragica notte di Bengasi.
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