«No, ancora loro?», si lamenta Renzi con i suoi. Sì, sono ancora loro, sono tornati sul campo di battaglia e, guidati da colonnello Bersanov e dal maresciallo Kuperlo, come ormai li chiamano a Palazzo Chigi, stanno organizzando la Resistenza sul monte Italicum. Una guerra di posizione emendamento per emendamento e articolo per articolo. Una lotta fraticida con l'obbiettivo dichiarato di «difendere la democrazia e la Costituzione», ma con quello nascosto di abbattere il loro vero nemico: Matteo, l'usurpatore, il bimbo di Firenze che in pochi mesi gli ha sfilato il partito e il governo.
Non bastava la protesta di diversi senatori di Forza Italia, che ovviamente non hanno alcuna intenzione di auto-sopprimersi, e nemmeno i distinguo del Nuovo centrodestra. Adesso, a disturbare il Manovratore ci si mettono pure gli ex diessini. Sembrava sopito, circoscritto, castrato, annichilito, ridotto alla testimonianza di bandiera di Chiti e Civati. Invece rieccolo il dissenso interno, il sussulto vitale della minoranza, lo spruzzo di rosso antico che rischia di saldarsi con i frondisti di Fi e di bloccare le riforme.
In testa ci sono i vecchi leader, a cominciare da Pier Luigi Bersani, che ha aspettato il giorno del braccio di ferro con la Germania e del secondo incontro con Silvio Berlusconi per riprendere a sparare sul quartier generale. Matteo, sostiene l'ex segretario, deve «essere più preciso» se vuole tenere botta con Berlino. «Non serve litigare, è pericoloso per tutti. Ma bisogna argomentare e andare al concreto. Dobbiamo spiegare che cosa ognuno intende per flessibilità. Bisogna precisare cosa intendiamo e una volta fissata l'idea che la strada va corretta cerchiamo di andare nel merito, senza stare ai particolari dello zero virgola. Dobbiamo cercare di usare la forza che Renzi ha per dire che questi anni di politica economica sono stati illogici».
Quanto alle riforme, Bersani non fa giri di parole: «L'Italicum va cambiato, lo capisce anche un bambino. E poi bisogna fare in modo che il cittadino possa scegliersi il deputato. Le democrazie che funzionano non sono le democrazie padronali». E questo perché «il combinato disposto della legge elettorale e del nuovo Senato porta all'esito per cui una persona, un capo, chiuso in una stanza magari con qualche consigliere, nomina i deputati dell'unica Camera elettiva, attraverso il premio di maggioranza nomina il presidente della Repubblica, i membri della Consulta e del Csm. Ma vogliamo scherzare?». Conclusione: «Le soglie vanno cambiate, le liste civetta abolite».
Nemmeno Gianni Cuperlo fa sconti al premier. Dice di essere «in buoni rapporti», di scambiarsi messaggini spiritosi - «l'ho chiamato compagno presidente» - ma al dunque pure lui si mette di traverso: «Se noi licenziamo l'Italicum così com'è uscito dalla Camera, credo che ci siano margini di rischio di costituzionalità. Le liste bloccate sono irricevibili. E sono una delle ragioni dello scollamento tra i cittadini e il Parlamento. Il patto del Nazareno non vale se il Parlamento decide altrimenti».
Dalemiani, lettiani, bersaniani. Sono loro, gli sconfitti da Renzi, che adesso sono in trincea.
Dice Miguel Gotor: «Io parlerei di più con il Pd e di meno con il Cavaliere». Aggiunge Stefano Fassina: «Le liste bloccate vanno riviste» Minaccia Alfredo D'Attorre: «C'è un nutrito drappello di parlamentari, anche di senatori, pronto a disobbedire». Ma poi, avranno la forza di farlo davvero?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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