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Ora è ufficiale: Grillo è anche un diffamatore

La Suprema Corte lo condanna: diede del "ladro e tangentista" all'ex sindaco di Asti

Ora è ufficiale: Grillo è anche un diffamatore

Il teatro Alfieri gremito. E Beppe Grillo, allora ancora comico, scatenato: «Il vostro ex sindaco ha preso una tangente sulle discariche, una tangentina qua, una tangentina là... adesso l'avete spedito in Parlamento, siete buoni, e Galvagno dice cose meravigliose. Invece è un ladro, un tangentista, l'avvelenatore della città». Quella sera di ottobre 2003 Giorgio Galvagno, ex sindaco di Asti e all'epoca deputato di Forza Italia, non assiste allo spettacolo. Ma una signora, sconvolta da quelle accuse e dalle parole che rotolano dal palco, corre a casa Galvagno, suona il campanello ed informa l'ex primo cittadino. Lui si precipita in sala, entra di corsa, chiede di poter intervenire, glielo impediscono, lo spettacolo finisce.
Galvagno cita in giudizio il futuro leader del Movimento 5 stelle e lo porta in tribunale, affidando la pratica all'avvocato Luigi Florio, a sua volta ex sindaco della città piemontese e poi eurodeputato. Ora la Cassazione chiude il caso dando ragione a Galvagno: Grillo l'ha diffamato e dovrà risarcirlo. L'indennizzo è stato fissato in 25 mila euro, più le spese processuali. Niente male per un campione della legalità come Grillo che proprio nei suoi comizi ha il suo punto di forza. Grillo predica dall'alto della sua presunta moralità, incenerisce dal pulpito dell'intransigenza chi prova a sbarrargli la strada del successo politico, accomuna in una sorta di scomunica collettiva tutta la vecchia classe dirigente, di destra e di sinistra, e la liquida con disprezzo alla voce casta. E proprio sfruttando la sua abilità oratoria, puntualmente rilanciata in rete, ha guadagnato consensi e ha trasformato il movimento 5 Stelle in uno dei grandi protagonisti della vita italiana.
Peccato che le parole abbiano un peso e dovrebbero essere meditate attentamente, prima di essere scagliate come pietre contro gli avversari. Invece in questo caso Grillo ha screditato Galvagno attribuendogli una sfilza di comportamenti gravissimi, sostenendo in sostanza che aveva incassato mazzette lasciando serenamente avvelenare Asti. Non era vero. C'era solo una condanna patteggiata a 6 mesi per un reato ambientale. Non c'era tutto il corredo di fatti descritti da Grillo per deliziare il proprio pubblico.
Scrive la Cassazione: «Uno dei limiti che la satira non può travalicare concerne proprio, come nel caso di specie, l'attribuzione ad altri di un fatto illecito». In questo caso, «l'aver ricevuto indebitamente denaro o altre utilità da smaltimento illegittimo di rifiuti tossici». Insomma, per Grillo era scontato che Galvagno avesse commesso reati che, invece «sicuramente non aveva commesso». Si tratta dunque di diffamazione con conseguente condanna.
Non solo. La Suprema Corte toglie al comico anche l'alibi dello spettacolo che in qualche modo attenuerebbe la portata delle frasi più pesanti, lanciate come fuochi d'artificio nel corso dello show. Non è vero, spiega la Cassazione: «Il contesto di spettacolo in cui le affermazioni incriminate furono proferite non incide su tali conclusioni, essendo, come si evince dalle prove testimoniali, non diversa la valenza delle dichiarazioni di Grillo percepite dagli spettatori».


Grillo, dunque, ha passato il segno, come già messo in evidenza da tribunale e corte d'appello: «Quelle sentenze - conclude Florio - precisavano che le espressioni offensive possono costituire satira purché non siano, come in questo caso, oltre che non veritiere, anche manifestazione di un comportamento meramente aggressivo».

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