In linea daria, affacciati sul salotto della centralissima via Libertà, distano meno di cento metri. Dalle finestre, sui due lati della strada, si guardano, potrebbero quasi salutarsi, spiarsi anche, con un binocolo.
E, invece, tra questi due comitati elettorali entrambi allammezzato di altrettanti palazzi gemelli, si consumerà la sfida fratricida tutta a sinistra decretata dalle urne a Palermo: di qua Leoluca Orlando, il vincitore a sorpresa ma non troppo, del primo turno, con un bottino di oltre 104mila voti e il 47,3% di vantaggio; di là Fabrizio Ferrandelli, suo ex delfino, il ribelle vincitore delle primarie della sinistra, sostenuto da Pd e Sel, arrivato secondo ma con quasi 70mila voti di scarto.
Trenta punti di svantaggio che lex pupillo di «Luca, Luca, Luca», simile a lui in tutto tranne che per i trentanni e passa detà che li dividono, ha già deciso di scalare a suon di colpi bassi. «Berlusconiano di sinistra», «cialtrone», «traditore» delle primarie e dei palermitani, sfruttatore della cultura del sospetto tanto da aver «gettato ombre persino su Giovanni Falcone», i primi stracci volati allindirizzo del suo (fu) mentore già ieri, day after del voto. E se il buongiorno si vede dal mattino, nelle prossime due settimane se ne vedranno delle belle.
Orlando non si scompone. Rifiuta il confronto con lavversario («non parlo con chi insulta e mi insulta»), respinge al mittente le accuse di aver ricevuto voti dal centrodestra - da qualche consigliere Pdl e dal vituperato Mpa, Ferrandelli parla di Francesco Musotto, proprio ieri cacciato dal partito da Lombardo - e gongola: «Ci sono 45mila schede di preferenze secche, solo per me, senza lista. E questi sono tutti voti del Pd, di chi ha bocciato Bersani».
Quarantacinquemila voti tutti suoi, 45mila voti personali che sono un po lessenza di quello che Leoluca Orlando è, a Palermo: «u sinnacu», il sindaco per antonomasia, che piace alla sinistra al caviale ma anche al popolino. «Sono sempre lo stesso, sono il sindaco-ponte tra la Palermo del libro e la Palermo del vicolo», gongola Orlando.
Ed è proprio nei vicoli, nelle case diroccate del centro e nei palazzoni delle periferie popolari, che «Luca, Luca, Luca» fa il pienone di voti con qualunque casacca si presenti. La molla? La «grazia ricevuta», lagognato posto fisso che lui, ideatore di quella macchina infernale che ancora pesa sul bilancio dello Stato che sono i precari, ha creato.
Era il 1997, pochi mesi prima delle elezioni. Il bando per diventare Lsu, lavoratore socialmente utile, venne esteso da 36 a 224 cooperative sociali, il bacino di precari salì dun botto da poche centinaia a settemila persone affamate che speravano di avere lagognato posto al Comune.
Facciamo per difetto quattro votanti a famiglia? Sono già ben 28mila voti certi che seguono e seguiranno Orlando ovunque, anche allinferno. Perché «u parrinu», il «padrino», luomo che, come un padre, ti ha dato il lavoro, il palermitano doc non lo tradirà mai.
Questo Orlando lo sa. Ed è per questo che nulla lo scompone. Neanche il pasticciaccio tutto siciliano che ieri ha fatto andare a passo di lumaca lo spoglio rischiando di far passare Orlando dal 47,9% al 32%. Unalchimia paradossale. In pratica si era creato un problema sul calcolo delle percentuali: quella per il sindaco, diceva uninterpretazione, andava conteggiata su tutti i voti validi, anche quelli senza preferenza espressa; quella delle liste, invece, solo sui voti di lista.
Risultato: conteggi da rifare, un abbassamento delle percentuali per i sindaci e un pandemonio per i consigli, dove molti partiti sarebbero rimasti fuori per la soglia di sbarramento al 5%. In serata il dietrofront della Regione, conferma delle percentuali e allarme rientrato.
La partita ballottaggio è aperta. Lo sconfitto Pdl, Massimo Costa, ha annunciato, ieri, che non darà indicazioni di voto.
Ma nella Palermo popolare circola il tam tam: «Orlando è la Juve, gli altri sono squadre di serie B». La sentenza è decretata: scudetto ai bianconeri e corona di sindaco pronta per re Leoluca.
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