Ospedali nella giungla delle classifiche

L'Agenzia sanitaria delle Regioni stila le valutazioni, ma poi frena: si teme che i dati siano stati truccati

Ospedali nella giungla delle classifiche

Roma - Alcuni ospedali potrebbero aver trasmesso al ministero della Salute dati «fasulli» su ricoveri, diagnosi, terapie e dimissioni. Per ora è solo un sospetto ma tanto pesante da aver indotto l'Agenzia per i servizi sanitari regionali (l' Agenas, istituto che si occupa di raccogliere e rielaborare i dati) a sollecitare le Regioni a verificare con ispezioni e controlli se le cifre fornite siano reali o truccate. Gli accertamenti riguarderanno 33 strutture su 1.440.
I sospetti nascono da dati incongruenti. Ad esempio una mortalità per infarto del miocardio acuto a 30 giorni dal ricovero troppo bassa o troppo alta rispetto ai dati standard riferiti su quella precisa patologia nel resto d'Italia. Perchè falsificare i dati? Due le motivazioni principali: se si tratta di numeri troppo ridotti che evidenziano una mortalità più bassa è ovvio che la struttura voleva mostrare maggiore efficienza. Se invece si tratta di dati troppo alti soprattutto riferiti ad interventi costosi la ragione potrebbe essere economica per gonfiare i rimborsi. L'Agenas chiede quindi di verificare la «veridicità della diagnosi».

Francamente sembra questo il risultato più interessante della ricerca sugli esiti delle prestazioni ospedaliere del 2012. L'Agenas sulla base di precisi indicatori riferiti agli interventi e alle patologie più frequenti valuta l'attività di strutture pubbliche e cliniche convenzionate. Non è certo necessario leggere i dati dell'Agenas per scoprire che in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana la sanità funziona meglio che in Campania e Calabria. Se si prendono in considerazione tutti i parametri emerge che il miglior ospedale d'Italia sarebbe il San Raffaele di Milano. Un'efficienza nota anche se il nosocomio fu travolto due anni fa da un clamoroso scandalo finanziario. Il peggiore risulta il Federico II di Napoli e anche qui non ci si sorprende. E soprattutto una volta che si è scoperto che in un dato ospedale è meglio non entrarci altrimenti se ne esce in orizzontale l'amministrazione competente e il ministero intervengono o lasciano le cose come sono?
Qualcosa però, lentamente, si muove. Da anni oramai viene denunciato il numero eccessivo di parti cesarei e per la prima volta sul dato nazionale si registra un meno 3 per cento. Dunque la campagna per ritornare al parto naturale quando è possibile in qualche modo ha funzionato. Ma c'è un ma. La Campania resta pecora nera e continua a praticare il 50 per cento di cesarei sul totale degli interventi. Perché conviene? Il rimborso è più alto e il medico può programmare comodamente l'intervento.
Non sempre però è il nord a dominare. Proprio sull'infarto del miocardio e sul suo trattamento emergono forti disomogeneità probabilmente, spiegano dall'Agenas, dovute a errori nella diagnosi. In questo caso comunque è la Puglia a fornire le migliori performance con lo 0 per cento del presidio ospedaliero Santa Caterina Novella di Galatina ma nella stessa regione si registra un pesante 26,1 per cento di mortalità dell'ospedale di Venere. Pure in Friuli però ci sono forti discrepanze. A Sacile su 268 interventi si registra soltanto uno 0,8 per cento di mortalità che invece sale al 41,4 all'azienda ospedaliera di Pordenone con 52 interventi. Certo va sottolineato che su un numero troppo ridotto di interventi i dati appaiono poco significativi: due ricoveri con un esito negativo fanno il 50 per cento di mortalità.

Un altro indice riguarda i tempi di attesa in particolare per l'operazione alla frattura del femore che richiede tempi brevi d'attesa, al massimo entro le 48 ore. Ma soltanto il 40,16 dei pazienti riceve questo trattamento lampo. Insomma più della metà aspetta troppo e l'attesa aumenta i rischi.

Un miglioramento anche qui c'è stato visto che nel 2011 gli operati in tempo erano soltanto il 33,11 per cento. Altro dato che emerge è quello degli interventi che appaiono inappropriati, non necessari. In Trentino ad esempio si ricorre con troppa facilità allo stripping vascolare.

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