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Le ostinate formichine nell'Italia delle cicale

Dai dati dell'Istat emergono realtà che conosciamo e realtà sconosciute

Le ostinate formichine nell'Italia delle cicale

Dai dati dell'Istat emergono realtà che conosciamo e realtà sconosciute. Poiché viviamo alla giornata, siamo ben consapevoli dei cambiamenti che direttamente ci colpiscono, e distratti o ignari di altri non meno profondi. Quasi tutte le realtà nazionali hanno oggi il segno meno, ed è la nostra angoscia. Per avere consolazione devo rifugiarmi in ricordi lontani, quando l'Italia era un Paese agricolo ricco di braccia, prolifico, con fortissima emigrazione e quasi nulla immigrazione.

Da ragazzo - un tempo fascista - mi accadde di leggere sul Corriere una notizia che mi lasciò sbalordito. Riferiva di disoccupati Usa - durava ancora la recessione deflagrata nel 1929 - che andavano con l'automobile a ritirare il sussidio statale. Mi pareva un controsenso. Per me l'automobile l'avevano solo i facoltosi. Oggi i disoccupati italiani - un esercito immane - hanno anche loro l'automobile, ma questo non attenua i tormenti e la povertà.

Siamo purtroppo un po' tornati agli italiani che se ne andavano sui bastimenti perché nel loro Paese non trovavano di che vivere. Ricordo, con malinconia, il periodo del «miracolo», quando le floride industrie nazionali chiamavano dall'estero ricercatissimi operai specializzati. Ricordo egualmente che in quegli anni molti emigranti che erano andati a cercar fortuna in Sudamerica facevano la fila ai consolati per riavere il passaporto italiano. Perché l'Italia era diventata l'America. Lo è rimasta per poco, e l'attuale crisi l'ha ricondotta al passato. Con notazioni desolanti e con qualche barlume d'ottimismo e di speranza.

La speranza deriva dal fatto che gli italiani sono rimasti, nonostante tutto, un popolo di risparmiatori. Luigi Einaudi aveva elogiato a suo tempo l'abnegazione con cui le formiche operose tentano di resistere alle malefatte di governi il cui impegno maggiore sta nel coinvolgerle in un disastro. E si ostinano a faticare, a sudare, a produrre. Nel 2013 - Istat dixit - è tornata ad aumentare la propensione al risparmio, risalita al 9,8 per cento dopo il minimo storico dell'8,4 toccato nel 2012. Confesso, da vecchissimo, che vedo attorno a me troppi vecchi, troppo pochi giovani, soprattutto troppo pochi bambini. Si va, per le nascite, di minimo storico in minimo storico: nel 2013 dodicimila in meno rispetto al minimo storico precedente, 1995. Si fanno meno figli, non c'è dubbio. Anche per senso di responsabilità. Non vorrei essere cinico aggiungendo che oltre alla responsabilità c'entra l'egoismo. Esigenze e spese oggi considerate indispensabili non lo erano mezzo secolo fa o più. Nel mondo agricolo e patriarcale i figli erano anche ricchezza, nel mondo abituato ai sacrifici che subito seguì i figli, anche nelle fasce sociali modeste - o soprattutto nelle fasce sociali modeste - erano un lusso affettivo che i giovani ritenevano di potersi permettere.

Le statistiche riguardanti l'attuale povertà in Italia sono raccapriccianti. Lo sono al punto che, mi riesce difficile conciliarle con le possibilità di spesa che vedo attorno a me. Probabilmente mi sfuggono le realtà peggiori. Mia figlia, volontaria in iniziative benefiche, parla sempre delle lunghe code di persone che fanno evidentemente ogni sforzo per mantenere il decoro, nelle mense popolari. Mi stringe il cuore il racconto di chi fa il giro delle sette chiese in cerca di un'occupazione, e non la trova. Mi stringe il cuore la moria dei negozi - negozi amici - che abbassano la saracinesca tra un imperversare di supermercati e ipermercati efficientissimi ma anonimi. L'Istat ha l'implacabilità dei numeri. Inutile ribattere che in ogni gruppo di giovani tutti sono muniti di telefonini d'alta qualità e d'alta complicazione. Ci siamo impoveriti. Ci siamo intristiti. Oscilliamo tra le sofferenze delle famiglie in cui entra un salario solo o addirittura nessuno, e i piaceri goderecci dell'happy hour e delle discoteche. L'Italia è alla canna del gas come tanti italiani, ma tanti altri mi parlano di vacanze all'estero.

L'Italia è complicata.

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