Il paradosso del gas italiano

Il paradosso è evidente: abbiamo fatto enormi sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento, potenziando i terminali Gnl e assicurandoci contratti con nuovi fornitori. Ma poi lasciamo parte di quella capacità inespressa, e il risultato è che paghiamo di più

Il paradosso del gas italiano
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C'è una questione energetica cruciale che, sorprendentemente, sfugge al dibattito pubblico italiano. Non ha nulla a che vedere con la transizione ecologica, con il Green Deal europeo o con le battaglie ideologiche tra fautori del nucleare e promotori delle rinnovabili. È una questione concreta, tecnica, ma dalle conseguenze economiche macroscopiche: il prezzo del gas in Italia è sistematicamente più alto di quello del Ttf olandese, il benchmark europeo.

Parliamo di una differenza che si aggira attorno ai 2 euro per megawattora. In Germania il differenziale è la metà. In Spagna, addirittura, il gas locale può costare meno del Ttf. Non è una sfumatura: è un spread energetico che ci penalizza e che potrebbe

essere colmato, almeno in parte, con decisioni razionali e una gestione più efficiente delle infrastrutture esistenti.

Perché accade? Una delle cause principali è il sottoutilizzo dei rigassificatori italiani. Ne abbiamo, e sono fondamentali, soprattutto oggi che l'Italia punta ad affrancarsi dal gas russo. Ma molti di questi impianti non lavorano a pieno regime. Le ragioni? Una combinazione tipicamente italiana di lentezze autorizzative, ostacoli burocratici, e mancanza di coordinamento tra i vari livelli decisionali.

Il paradosso è evidente: abbiamo fatto enormi sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento, potenziando i terminali Gnl e assicurandoci contratti con nuovi fornitori. Ma poi lasciamo parte di quella capacità inespressa, e il risultato è che paghiamo di più. Due euro in più

per ogni MWh si traducono in circa un miliardo di euro all'anno: un salasso per il sistema Paese, in un momento in cui famiglie e imprese faticano a sostenere il costo dell'energia.

L'Italia è spesso vittima di una cultura che frena l'efficienza in nome della prudenza, o peggio, dell'inerzia. Ma il costo dell'inazione, in questo caso, è altissimo.

Se vogliamo affrontare con serietà le sfide della competitività e dell'autonomia energetica, dobbiamo iniziare dalle basi: fare funzionare ciò che già abbiamo.

Serve una politica industriale dell'energia che non sia solo visione, ma anche pragmatismo. E serve ora.

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