Il «partito di Cernobbio» nel 2013 vota Letta. La platea di imprenditori e banchieri, che anima il Workshop Ambrosetti sulle rive del Lago di Como, ritiene che la caduta dell'attuale esecutivo sia il principale rischio per l'azienda Italia. Addirittura più di un possibile conflitto in Siria o di nuovi tumulti in Egitto o in Medio Oriente. Ovviamente, si tratta di considerazioni fortemente legate alla contingenza politico-economica, alla possibilità di agganciare una ripresa che, nei numeri, nel nostro Paese ancora non c'è. Sono sensazioni non mediate dalla razionalità come dimostrato, nel passato, dall'acclamazione di Mario Monti nel 2011 e dalla sostanziale indifferenza nei suoi confronti l'anno successivo.
Ma tant'è. Il consueto sondaggio tra i partecipanti ha evidenziato un tale ottimismo (il 55% pensa di aumentare gli investimenti) da far dire all'ex presidente Bce, Jean-Claude Trichet: «Evidentemente le vostre imprese sono fortunate!». L'esecutivo di Enrico Letta, indipendentemente da meriti e demeriti, diventa il vascello al quale aggrapparsi per navigare verso porti migliori. Come ha detto il capo di Intesa Sanpaolo, Enrico Tomaso Cucchiani, «sarebbe meglio se le forze politiche si impegnassero per le riforme, altrimenti la situazione ci condannerebbe allo stallo o al delirio». O, nel peggiore dei casi, all'eterodirezione da parte della Troika (Fmi-Bce-Ue) sul modello greco.
Ecco, «riforme» è sempre la parola magica, il mantra del «partito di Cernobbio»: un obiettivo cui tendere che diventa esso stesso ragione di vita di un esecutivo. «È importante che il governo abbia tempo per lavorare e per cambiare la legge elettorale, la disciplina sul lavoro, quella del fisco e delle pensioni. Non a caso lo spread in Spagna è calato al termine di un percorso riformatore», sottolinea Andrea Soro, capo di Royal Bank of Scotland. Più sintetico l'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni. «La condizione della ripresa è la stabilità politica: con la crisi la ripresa sarebbe a rischio», ha tagliato corto. Anche il numero uno per l'Italia di un colosso come General Electric, Sandro De Poli, teme che l'impasse politico possa nuocere alle decisioni di investimento. E se anche un «falco» della ricerca economica come Nouriel Rubini (noto nell'ambiente come autore di profezie negative che si autoavverano) sottolinea che «la caduta del governo sarebbe dannosa per l'immagine dell'Italia sui mercati», significa che la comunità finanziaria globale ha già preso una posizione chiara e precisa.
Non mancano, però, le voci fuori dal coro. A sorpresa, il finanziere Davide Serra, creatore del Fondo Algebris e sponsor di Matteo Renzi, ha detto che «la situazione peggiore è quella attuale, cioè lo stallo». Per il giovane manager «meglio andare a votare, cambiando prima la legge elettorale, che tirare a campare perché, se prosegue la situazione di stallo, in uno o due anni siamo morti». Anche Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema, è dello stesso avviso: «La crisi politica non sarebbe un dramma, neanche per lo spread perché l'Italia fa parte di un sistema globale e, se parte la ripresa, la seguiremo».
Più preoccupati, invece, gli imprenditori. Per Alberto Bombassei, presidente di Brembo e deputato di Scelta Civica, «la caduta del governo nuocerebbe alle piccole imprese, certo occorre una progettualità nelle strategie del governo». Ripresa? «La vede Saccomanni, io no», chiosa l'ex vicepresidente di Confindustria. La sintesi la fa il patron di Ariston Thermo, Francesco Merloni. «Che cosa cambierebbe con nuove elezioni? Sarebbe solo uno stop che farebbe perdere tempo.
Le vuole solo Grillo che non è certo un politico serio», spiega l'industriale marchigiano. Domani parlerà proprio il «guru» grillino, Gianroberto Casaleggio, ma difficilmente potrà far cambiare idea al «partito di Cernobbio».dal nostro inviato a Cernobbio (Como)
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