«Passo falso il cognato raccomandato in Rai»

Mazza, Fini è un traditore?
«Per me il tradimento non è una categoria della politica. Io parlerei di una trasformazione. Lui negli ultimi dieci anni cambia, va in un'altra direzione rispetto al suo mondo di riferimento, pensa a lungo che questo mondo lo stia seguendo, poi si volta e scopre che sono quattro o cinque gatti».
Qual è questa direzione?
«A un certo punto lui matura una svolta culturale di tipo laicista che lo porta molto lontano dal suo elettorato fortemente cattolico. Pensi alla fecondazione assistita».
Messa così è una scelta discutibile ma nobile. E le vicende familiari?
«Ma per me le vicende familiari sono importanti ma non fatidiche».
Però lei stesso racconta dei tentativi di infilare il cognato in Rai...
«Certo, Fini cerca di raccomandare Giancarlo Tulliani a viale Mazzini, dove il giovane viene ricevuto praticamente da tutti. Di sicuro l'invadenza del cognato gli pregiudica molti rapporti personali ma alla fine non è decisivo. Diciamo che è il sapone sulla corda che Fini già aveva al collo».
E qual è la chiave di lettura, allora?
«Mi sembra che il processo che ha portato al celebre “Che fai, mi cacci?” sia una somma di personalismi. Quando Fini esce dal Pdl a seguirlo non sono i finiani della prima ora ma persone mai state vicine a lui. Questo perché lui raccoglie i rancori più o meno radicati nel Pdl contro Berlusconi. Poi da quel momento si avvita attorno a un'opzione che lo porta da tutt'altra parte. È un sassolino che diventa valanga: Fini va incontro a una sconfitta annunciata».
Eppure dopo l'uscita dal Pdl più volte sembrano crearsi i presupposti per un riavvicinamento.
«Ma lui preferisce seguire le sue sirene. Fa prevalere l'insofferenza verso Berlusconi».


Ma alla fine, perché Fini entra nel Pdl se dall'inizio è poco convinto?
«Certo, potrebbe non entrare e non costringere gli scettici a entrare con lui. Potrebbe fermarsi in tempo e fare una federazione. Invece preferisce la catastrofe».

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