di Ugo Ruffolo*
Il folle scambio di embrioni al «Pertini» di Roma, con una donna che è incinta dei gemelli di un'altra coppia per una fecondazione eterologa involontaria, genera almeno due interrogativi: a) di chi sono le responsabilità; b) chi sia giuridicamente il padre e chi la madre dei nascituri. E cioè da chi questi bimbi erediteranno e da chi saranno mantenuti, a prescindere anche da chi si vedrà affidare quei figli. La responsabilità dell'ospedale è ovvia; addirittura oggettiva se l'errore è frutto di malfunzionamento di un apparato; e comunque per colpa, anche contrattuale, da cattiva gestione organizzativa. Ma chi nasce dal ventre sbagliato di chi è figlio? L'incrocio fra codice civile e (cattiva) legge sulla procreazione assistita generano un effetto aberrante: padre è il lui dell'altra coppia, autore del seme; mamma la partoriente, ancorché madre vicaria involontaria. Perché in caso di maternità surrogata, vietata o meno, involontaria o meno, l'assurda interpretazione dominante (che io non condivido) dell'articolo 269 del codice civile attribuisce lo status di madre non all'autrice dell'ovulo bensì alla partoriente. L'assurdo nasce da lontano. Per le norme sulla fecondazione eterologa, ancorché corrette dalla Consulta, una coppia sterile potrà ricorrere a tecniche procreative manipolanti il seme di «lui», che resterebbe padre genetico, senza invece consentire a «lei» una pratica omologa mediante il ricorso alla maternità vicaria, ad esempio nel caso di donna fertile ma inidonea a gestare una gravidanza. Pratica vietata persino quando una donna gravida rischia l'aborto per malattia o incidente sopravvenuto, ma potrebbe evitarlo solo trasferendo l'embrione fecondato nel ventre di una madre «portante», ad esempio, sua madre o sua sorella. Con tanti saluti per la difesa ad oltranza della vita prenatale. Il mostruoso caso del «Pertini» rende evidente la incongruità della soluzione anche in caso di surrogazione volontaria di maternità. Perché i maschi potrebbero avere dei figli del proprio sangue sempre, trasmettendo il seme in qualsiasi modo; le femmine invece, solo biblicamente partorendo con dolore. Così, superando persino il tabù dell'incesto, al figlio della madre vicaria sarebbe fatto divieto di sposare gli altri figli della stessa a lui geneticamente estranei, ma non invece quelli della madre genetica, che pure sono suoi fratelli di sangue. Così, la coppia che dovesse ricorrere all'utero in affitto vedrebbe giuridicamente dichiarato genitore il primo ma non anche la seconda. Tornando alla donna incinta di due gemellini di un'altra coppia, giuridicamente padre sarà il maschio della coppia generante e madre la donna dell'altra. Un bel pasticcio.
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