Pd pronto a giocarsi la solita carta antiCav Ma ora ha già paura

La novità sconvolge i piani di Bersani: vede sfumare una vittoria considerata sicura

Pd pronto a giocarsi la solita carta antiCav  Ma ora ha già paura

«Berlusconi dice che scende di nuovo in campo? Dopo dieci anni della sua cura, non c’è più neanche il campo!». I segretari di circolo del Pd, riuniti ieri a Roma da Bersani per oscurare la convention fiorentina di Matteo Renzi, hanno applaudito alla battuta del loro segretario ma difficilmente hanno tirato un sospiro di sollievo. Sebbene infatti la linea ufficiale del Nazareno, di fronte all’annuncio del ritorno in prima linea di Berlusconi, si attesti a metà strada fra l’irrisione, la battuta più o meno sapida e l’insulto, i dirigenti del Pd sanno benissimo che la novità c’è, ed è di quelle destinate a sconvolgere (e molto probabilmente ad anticipare) una campagna elettorale già di per sé aspra quanto disarticolata.

L’analisi più esplicita, al netto dell’enfasi propagandistica, viene da Walter Veltroni, che in un’intervista all’Unità parla apertamente di «posizioni destabilizzanti» e denuncia «l’irresponsabile tentativo di trascinare l’Italia in elezioni anticipate, cercando di far leva sullo scontento sociale e assumendo posizioni populiste come “usciamo dall’euro“ e “torniamo alla lira“». L’attacco del fondatore del Pd, e avversario (sconfitto) di Berlusconi nel 2008, è durissimo: «Non contento di quello che ha già fatto a questo Paese - sostiene -, viste le difficoltà nel suo partito, Berlusconi vuol fare saltare tutto colpendo Monti e portando lo scontro all’esasperazione. Fare questo è da irresponsabili. Tipico di chi, appunto, vuole avvelenare i pozzi».
N

elle parole di Veltroni si ritrovano tutti i tic della sinistra, compresi quelli che lo stesso Veltroni riuscì a eliminare nella breve stagione alla guida del Pd: l’accusa di «populismo» e, indirettamente, di eversione, di irresponsabilità, di opportunismo. Insomma, il ritorno di Berlusconi porta con sé, inesorabilmente, l’antiberlusconismo. E tuttavia anche in questa reazione pavloviana si scorge lo stato d’animo reale del gruppo dirigente democratico. Che si potrebbe riassumere in una parola: paura.

Nello schema del Nazareno, infatti, la coalizione neofrontista Pd-Sel-Idv (eventualmente alleggerita di Di Pietro e irrobustita dalla lista di Repubblica) sarebbe stata sufficiente per battere un centrodestra debole e diviso in almeno tre tronconi: il Terzo polo (con o senza Montezemolo), il Pdl di Alfano e la Lega oramai ritornata nelle sue valli. Ma il ritorno di Berlusconi cambia profondamente lo scenario, e inserisce nel centrodestra una variabile destinata a rimettere in movimento alleanze e posizionamenti. In che modo, ce lo spiega un parlamentare vicino alla segreteria Pd: la linea «populista», come sbrigativamente viene etichettata nelle dichiarazioni ufficiali, è in realtà una posizione presente in tutti i paesi europei, compresa la Germania: è la posizione di chi ritiene che l’euro così com’è, per la sua natura e per la sua struttura, semplicemente non può funzionare.
Su questa posizione, potenzialmente maggioritaria nell’elettorato, come diversi osservatori internazionali hanno già avuto modo di osservare, Berlusconi «è in grado di giocare al meglio la partita che gli interessa: ricostruire l’alleanza con la Lega, e mobilitare l’elettorato che alle amministrative si è astenuto». Può darsi che non ci riesca, conclude il parlamentare, ma di certo «Berlusconi ha sparigliato e oggi il centrodestra non è più il cadavere che era fino a ieri».

Ma c’è un altro problema per Bersani, e anche questo nasce dal ritorno di Berlusconi. È il problema delle primarie. Se si vota in autunno, non c’è gara: le primarie non si fanno, e il segretario del Pd si candida a Palazzo Chigi. Ma se invece le primarie si faranno, il ritorno in campo di Berlusconi potrebbe dare a Renzi la spinta decisiva per vincerle. «Di fronte “all’usato sicuro“ di Berlusconi - sintetizza il parlamentare democratico - “l’usato sicuro“ di Bersani diventa inservibile. Contro Berlusconi dovremo giocare la carta del rinnovamento, fino in fondo, con coraggio. Oppure rischiamo di perdere anche questa volta».

«Piacere a chi l’altra volta ha votato di là non è un delitto - diceva ieri Renzi a chi lo rimprovera di non essere odiato dal centrodestra -, ma è l’unica condizione per non perdere le elezioni», perché «bisogna intercettare il consenso dei delusi da Berlusconi».

È su questa linea, peraltro non nuova, che il sindaco di Firenze condurrà la sua battaglia, convinto che le accuse al Cavaliere di populismo, gli insulti e le demonizzazioni siano oramai armi scariche e inutilizzabili, proprio come quei dirigenti del Pd che continuano a usarle.

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