Il Pd in rosso piange miseria: vuole licenziare 180 dipendenti

Il Pd in rosso piange miseria: vuole licenziare 180 dipendenti

RomaIl Pd ha un piano per l'occupazione: mettere in cassa integrazione i suoi dipendenti. Lo ha ammesso ieri il tesoriere Antonio Misiani, che dopo un incontro che ha conosciuto momenti drammatici con una rappresentanza dei 180 dipendenti, ha parlato di una situazione economica «drammatica» del partito a causa dell'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti: ciò che rende «inevitabile» il ricorso agli ammortizzatori sociali per tutti o per una parte dei lavoratori.
Insomma: compagni, non c'è una lira. Che il momento fosse difficile non è certo una novità. Ma a lungo al Nazareno hanno continuato a fare i finti tonti. Ancora poco tempo fa in un documento messo in rete sul sito del partito e tuttora visibile (http://www.partitodemocratico.it/doc/240742) si potevano leggere le seguenti domande e risposte: «È vero che il bilancio del Pd è in profondo rosso? Assolutamente no. Il bilancio del Pd nazionale si è chiuso nel 2011 con un avanzo di 3,2 milioni di euro. Il partito non ha debiti con le banche, non ha tesoretti, non investe in Tanzania, non possiede immobili, non compra lingotti d'oro o diamanti. Usa tutte le proprie entrate per la funzione che la Costituzione assegna ai partiti. Come mai il Pd nazionale a fine anno ha soldi in cassa? Le disponibilità liquide a fine anno sono esclusivamente legate al ciclo finanziario del partito: i rimborsi elettorali vengono ricevuti ad inizio agosto e progressivamente utilizzati per le campagne elettorali e l'attività politica del partito. La disponibilità liquida registrata a dicembre viene nei mesi successivi esaurita fino alla nuova erogazione dei contributi pubblici nell'agosto successivo». Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. E anche noi.
L'aria è cambiata, ma non è certo una sorpresa. Di un taglio dei finanziamenti pubblici si parla da tempo e non è detto che non si arrivi addirittura a una loro abolizione. Già nel 2012 il bilancio, che deve ancora essere approvato dalla direzione del partito, ha fatto registrare un passivo, anche a causa del fatto che lo scorso anno il Pd, come gli altri partiti, ha rinunciato alla rata annuale del finanziamento per devolvere la cifra ai terremotati dell'Emilia-Romagna. E malgrado la rata del 2013 sia salva e sia in arrivo, il futuro non è roseo. «È inevitabile un ridimensionamento della struttura - spiega Misiani - con le rappresentanze dei lavoratori discuteremo degli strumenti da adottare. Ancora nulla è stato deciso». Anche sui numeri non c'è chiarezza, ciò che alimenta le ansie dei dipendenti, che ieri hanno incontrato Misiani. «Non ho mai parlato di numeri - dice il tesoriere - e del resto non sarei in condizione di farne perché la nuova normativa in arrivo ancora non è nota ed è impossibile stimare a oggi le eventuali entrate dal 2 per mille e dalle erogazioni liberali». Meccanismi questi ultimi destinati a sostituire nel giro di tre anni il finanziamento pubblico dei partiti ma probabilmente incapaci di coprire il buco che si aprirà nei loro conti.
Insomma, finisce un epoca. Quella del gigantismo di quello che in termini organizzativi più che elettorali è stato negli ultimi anni il più grande partito italiano.

Sui conti del Nazareno hanno pesato, oltre alla malagestione firmata Luigi Lusi, maxi-stipendi da Prima Repubblica, spese folli, troppe sedi frutto anche della bicefalia originaria del partito, nato dalla fusione a freddo di Ds e Margherita, una testata giornalistica come Youdem.tv che ha drenato milioni e milioni mentre i circoli - un tempo la vera forza di quello che era il Pci - non hanno nemmeno i soldi per pagare la luce.

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