Roma - Dopo settimane in cui il Pdl è costretto a turarsi il naso a suon di voti di fiducia continuando tutte le volte a ripetere come un mantra che «questa è l’ultima che votiamo», l’unica buona notizia arriva dal Senato. Dove per un giorno si ricostituisce l’asse Pdl-Lega che dà il via libera - con 153 «sì» contro 136 «no» - al Senato federale e al taglio dei senatori (che scenderebbero a 271). Un voto niente affatto scontato, soprattutto per le conseguenze politiche che rischia di avere e per il rischio fronda interno al partito di via dell’Umiltà. Approvato l’emendamento leghista, infatti, viene di fatto superato l’ostacolo più difficile ed è praticamente scontato che a Palazzo Madama passi anche il semi-presidenzialismo e che il testo venga calendarizzato alla Camera per settembre. Con il rischio che si trasformi in una bomba ad orologeria.
Ed è questa la ragione del buon umore dei vertici di via dell’Umiltà, dove la tentazione del voto anticipato sta ormai prendendo piede. Alla Camera, infatti, si invertirà di fatto l’onere della prova. E il Pd si troverà davanti all’ardua decisione: cambiare linea e accodarsi a Pdl e Lega (improbabile) oppure bocciare il testo (a Montecitorio i numeri di Pdl e Lega non sono sufficienti) ma rischiare di passare per quelli che non vogliono l’elezione diretta del capo dello Stato, il taglio dei parlamentari e la fine del bicameralismo perfetto. Insomma, una bella gatta da pelare. Su cui molti esponenti del Pdl - soprattutto i più critici verso il governo, quelli che se potessero staccherebbero la spina anche oggi - ripongono grandi speranze. In particolare quella che il Pd possa incartarsi e finire per far saltare il banco. «Dopo il via libera del Senato - spiega il vicecapogruppo del Pdl alla Camera Massimo Corsaro - il Pd deve assumersi la responsabilità di bocciare il testo alla Camera. Se lo fa, non ci vengano più a parlare di taglio dei parlamentari o di riformare le istituzioni...».
D’altra parte, che il Pdl sia in fermento e deciso a prendere sempre più le distanze dal governo è ormai chiaro. Basta guardare i numeri - impietosi - con cui ieri è passato il ddl lavoro. Nel voto finale - tra contrari (7), astenuti (34) e assenti (46) - ben 87 deputati pidiellini su 209 non hanno dato il loro assenso al provvedimento. Poco meno della metà del gruppo parlamentare, insomma, ha preferito defilarsi. E tra loro lo stesso Silvio Berlusconi che ha preferito le riunioni a Palazzo Grazioli al voto della Camera. Un segnale evidente, come lo è la scelta di non sostenere la mozione unitaria per l’Europa su cui trovano l’intesa Pd e Terzo Polo. Il Pdl, infatti, preferisce votare una sua mozione e lo fa per non bissare quanto accaduto a gennaio, quando tutta la maggioranza che sostiene il governo si presentò compatta con un’unica mozione. Il termometro di quanto lo scenario sia cambiato e di una campagna elettorale che - a prescindere da un eventuale voto anticipato - è di fatto già cominciata.
Ed è anche per questo che oggi il Cavaliere è tentato dall’affondo anti-tedesco al vertice del Ppe in programma a Bruxelles. Non tanto nel corso dei lavori, quanto uscendo negli «a margine» con la stampa. Niente di più di quello che va dicendo da giorni sulle responsabilità della Merkel e sugli errori di Berlino, anche se la sede internazionale darebbe alla cosa tutto un altro rilievo. D’altra parte, non è un mistero che Berlusconi stia testando la sua linea movimentista, visto che il punto recuperato dal Pdl in quest’ultima settimana sarebbe merito - secondo l’ex premier - del suo ritorno in prima linea. Si vedrà lunedì prossimo, quando sulla scrivania di Arcore arriveranno le rilevazioni settimanali di Euromedia. Si vedrà oggi, invece, se il Cavaliere affonderà davvero sulla Germania o se seguirà i consigli di chi continua a predicargli cautela. Di certo ci sarà il faccia a faccia con Pier Ferdinando Casini, anche lui a Bruxelles per il vertice del Ppe, all’indomani dell’annuncio del leader Udc che ha aperto ad un’intesa con il Pd.
Nonostante tutto sia in febbrile movimento e tutti stiano attendendo gli esiti del vertice Ue, resta sugli scudi l’area degli ex An che continua a minacciare di far le valige e andarsene per la sua strada.
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