Il Pdl non cede: cambiamo il welfare o si vota

Alfano stringe i tempi e avvisa il Pd che boicotta: no a modifiche a senso unico. Governo accusato di "gioco sporco"

Il Pdl non cede: cambiamo il welfare o si vota

Roma - Tutto come da copione. Con il Pdl che cerca di stringere i tempi e il Pd già al lavoro per rimettere mano alla formulazione dell’articolo 18 quando in Parlamento arriverà il disegno di legge sulla riforma del welfare. Una sceneggiatura già scritta, visti i contrastanti interessi di quelli che sono i due soci principali della «strana» maggioranza che sostiene Monti. Un punto d’incontro, insomma, al di là delle posizioni ufficiali di tutti (compreso lo stesso premier che ieri escludeva modifiche sostanziali nei «contenuti») lo si dovrà necessariamente trovare. Con il rischio che nei prossimi mesi governo e maggioranza vadano in affanno, perché è chiaro che il confronto in Parlamento non sarà in discesa.
Ed è anche questa la ragione per cui Alfano cerca da una parte di stringere sui tempi e dall’altra di mettere in chiaro che eventuali modifiche non potranno essere a senso unico. Un evidente messaggio al Pd: se volete ritoccare la nuova normativa dell’articolo 18 allora anche noi metteremo mano a quel che non ci convince del testo. Con il rischio, a quel punto di affossarlo nella palude dei voti parlamentari. In quel caso, è il senso delle parole del segretario del Pdl, sarebbe Bersani che se ne dovrebbe assumere la responsabilità. «Se il Pd decide di rompere il punto di equilibrio faticosamente trovato dal governo», spiega Alfano, anche «noi dovremo pur dire che ci sono cose che non ci piacciono». Invece «serve un impegno per chiudere entro un termine prefissato, entro l’estate, quattro mesi». Ed è proprio in prospettiva di una trattativa che necessariamente si dovrà fare che Alfano non risparmia critiche all’esecutivo che, scegliendo la via del disegno di legge piuttosto che quella del decreto, ha di fatto «aperto» alle modifiche. «Oggi il governo è meno forte di ieri» perché non c’è un testo scritto, i tempi non sono certi e la Cgil non ha revocato lo sciopero. Insomma, «se fosse una schedina del totocalcio avrebbe totalizzato zero».
Un affondo, quello di Alfano, che ha anche l’obiettivo di tenere il più possibile unito il partito in un momento in cui a via dell’Umiltà sono alle prese con più di una grana. Già, perché se il segretario del Pdl punta comunque a trovare un’intesa, dietro alcune dichiarazioni decisamente più «forti» si nasconde la voglia di un pezzo di partito di far saltare il tavolo. Ecco il perché di un affondo come quello del vicecapogruppo alla Camera Corsaro che accusa il governo di aver «giocato sporco» perché il testo così com’è non passerà mai. «O l’esecutivo dà per scontato di non portare a compimento alcuna riforma del lavoro - dice - oppure il risultato che si è prefissato è ben diverso di quanto è stato scritto nel ddl».

E se l’esecutivo non è in grado di prendere le decisioni impopolari per cui è stato chiamato, chiosa l’ex ministro Meloni, allora «verrebbero meno i presupposti stessi della sua esistenza e sarebbe opportuno affidarsi a un governo legittimato dal popolo». Cioè andare a elezioni.

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