Le pensioni della Consulta? Offesa al Paese il commento 2

diA ppare più che giustificata l'iniziativa politica avviata dall'onorevole Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, in merito al trattamento pensionistico riservato ai membri della Corte Costituzionale. È infatti inaccettabile la prassi - confermata anche con la recente elezione di Gaetano Silvestri - di scegliere quale presidente il giudice costituzionale più vicino alla conclusione del mandato. Il risultato è che l'attuale presidente rimarrà in carica fino al 28 giugno del 2014 e quindi all'inizio della prossima estate si dovrà procedere a una nuova nomina. In passato abbiamo avuto presidenti che sono rimasti tali per meno di cento giorni: giusto il tempo di andare in pensione con quella qualifica. Composta in larga misura da giudici selezionati dalla politica, la Corte si trova spesso a fare scelte assai contestabili. La sua credibilità è diminuita ancor più quando, circa un anno fa, giudicò incostituzionale il taglio agli stipendi dei magistrati e alle redistribuzioni dei dipendenti pubblici superiori ai 90 mila euro. In sostanza e nonostante la grave crisi, i giudici presero una decisione che salvaguardava anche i loro personali interessi. Certamente all'interno della Consulta vi sono figure di grande spessore (lo storico del diritto Paolo Grossi, solo per fare un nome), ma questo non impedisce a tale istituzione di apparire sempre più inadeguata. La recentissima decisione del presidente Giorgio Napolitano di nominare Giuliano Amato (già ministro e presidente del Consiglio, ma soprattutto importante collaboratore di Craxi) è stata molto impopolare per ragioni del tutto evidenti. C'è allora da chiedersi se sia ammissibile che scelte cruciali per il nostro futuro - dal taglio dei privilegi degli statali fino al diritto di libera espressione delle varie comunità (penso alla cosiddetta «sentenza Mezzanotte», che si oppose al diritto del Veneto all'autogoverno) - siano affidate a un organismo tanto delegittimato. Oppure se non sia il caso di cambiare registro, anche a partire da questa prassi di una presidenza «a rotazione». È come se il Palazzo, ormai chiuso in se stesso perché prigioniero di simili codici comportamentali e affaticato dai propri giri di valzer, fosse incapace di percepire la disperazione di una società al capolinea, che sta declinando velocemente perché oppressa da un apparato statale, di cui la Consulta è uno dei pilastri fondamentali, che blocca ogni libera iniziativa. Non soltanto essa opera ormai a tutela del potere, mentre dovrebbe proteggere la società dal potere stesso, ma il tutto è accompagnato da pratiche anacronistiche.

In questa fase storica che vede un crescente scollamento tra la società civile e le istituzioni, quanti ambiscono a interpretare al meglio la cultura giuridica del nostro tempo dovrebbero assumere atteggiamenti più lineari e rispettare di più, nei fatti, quegli ambienti sociali e quei territori in cui autenticamente si lavora e crea ricchezza. Un sinedrio di burocrati e uomini di partito non può essere un'assemblea di saggi.

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