
Lucy Kellaway, columnist del Financial Times, non solo frequenta uffici e redazioni da molti anni, ma li osserva, con i loro abitanti. Ora ha preparato una serie radiofonica sulla «storia della vita in ufficio» negli ultimi 250 anni: un quarto di millennio di quotidianità lavorativa. E ne ha ricavato una specie di guida, fra miti e leggende di ieri e di oggi.
Ci sono realtà che diamo per scontate, come il ruolo dei manager in azienda, o la presenza delle donne, che però sono delle novità del Ventesimo secolo. Come è rivoluzionaria, rispetto al passato, l'idea che il lavoro possa dare soddisfazione, che sia una passione e non soltanto un obbligo. Invece certe sensazioni, come quella che la vita sia resa impossibile dalle email, non sono affatto nuove: toccò già a chi ebbe a che fare coi primi telefoni, il cui squillo angosciava tanto quanto la casella lampeggiante della posta in arrivo (era anche più rumoroso). Poi, per esempio, il collega che mangia brioche e cappuccino davanti al computer non inventa niente: John Stuart Mill, l'empirista inglese, ci aveva già pensato nell'Ottocento e non si accontentava di un dolcetto, si faceva preparare un uovo e del tè. Però ecco, fra ciò che è ormai destinato a sparire (o è già scomparso) c'è proprio la signorina che preparava il tè e il caffè per i pezzi grossi, superata dalle macchinette. Non rimane traccia di sigarette, dei rumori assordanti delle macchine per scrivere e delle vecchie calcolatrici, degli ingombri dei fax e dei computer old style. Non resta più privacy, perché oggi il design da ufficio è lo spazio aperto e, anche quando si chiude qualcosa, si usano vetri trasparenti e lucidissimi.
Che cosa non è cambiato mai, questo è facile: i flirt fra colleghi, i pettegolezzi, le pile di carta sulle scrivanie.
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