Più diritti per tutti Adesso ci manca solo la poligamia

Caro direttore, la mia crociata sarebbe impegnativa per qualsiasi testata, per questo ti scrivo una lettera. Però spero le mie argomentazioni siano convincenti. Mi piacerebbe vedere il Giornale schierato in una lotta (...)

(...) che in tempi rapidi potrebbe portare più diritti a tutti.
La nostra società è fondata sulla discriminazione. È una realtà con la quale dobbiamo confrontarci ogni giorno. Prendiamo la recente polemica su Miss Italia. La presidente della Camera Laura Boldrini ha fatto bene a sottolineare come alle donne in televisione sia quasi proibito parlare perché considerate alla stregua di pezzi di carne da esporre. Con poche eccezioni come Maria De Filippi, Paola Perego, Mara Venier, Antonella Clerici, Raffaella Carrà, Daria Bignardi, Paola Ferrari, Benedetta Parodi, Cristina Parodi, Michelle Hunziker, moltissime giornaliste dei Tg, tutte le conduttrici dei programmi del mattino... Ma lasciamo perdere, in realtà sono altri i diritti negati di cui preoccuparsi.
Vengo al punto. Perché mai lo Stato, di fatto, riconosce come «famiglia» unicamente quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, con eventuali figli? È un'assurdità palese. Primo. Il matrimonio è un negozio giuridico: non c'è motivo di negare la facoltà di stipularlo anche a chi sceglie unioni diverse da quella tradizionale. Secondo. La famiglia non ha nulla a che fare con la natura. È un prodotto culturale frutto di una secolare elaborazione collettiva. Fino a ora ha trionfato un modello che affonda le radici (soprattutto) nel cristianesimo. Ma la società è cambiata e nuovi modelli, altrettanto degni, si profilano all'orizzonte. Terzo. I conservatori, per bloccare il cambiamento, spesso mettono in mezzo i bambini. I quali avrebbero bisogno di punti di riferimento stabili e differenziati nei ruoli. Quanta ignoranza c'è in giro... Gli psicologi hanno dimostrato come il ruolo di genitore, al pari del concetto di famiglia, sia un prodotto culturale. È ormai ovvio: non serve essere donna per essere madre, né essere uomo per essere padre. Quello che conta, per un bambino, è l'amore. Il resto è pregiudizio di gente che non ha una laurea in gender studies. Ma non è di questo che ti voglio parlare, caro direttore. Degli omosessuali mi importa poco. Non hanno bisogno di essere difesi, hanno vinto ovunque, presto vinceranno anche qui. La loro battaglia però è un grande esempio per tutti.
Io chiedo l'introduzione, e il riconoscimento legale, della poligamia in tutte le sue forme. Non metterti a ridere: è un sistema perfetto. Limitarsi tutta la vita a una sola donna (o uomo) è una condanna alla noia e la tomba del sesso. Se proprio vogliamo tirare in ballo la natura, essa ci dice: andate a disperdere il seme. Altro che fedeltà, cerchiamo di non essere ridicoli. La poligamia, poi, è nella storia dei popoli forti, giovani e fertili, come quelli musulmani. Il ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge lo ha ricordato più volte: molti immigrati oggi sono costretti a rinnegare le proprie origini. A esempio, devono scegliersi una singola moglie anziché formare un piccolo harem. Bisogna subito porre rimedio a questa ingiustizia, anche per infondere nuova linfa in questa stanchissima Europa. Sul piano dei principi non ha senso discriminare noi aspiranti poligami. Siamo forse i figli di un dio minore? Non ci amiamo e non amiamo i nostri bambini come tutti gli altri? Noi vogliamo essere cittadini a pieno titolo ma non lo saremo finché non ci saranno vera uguaglianza e pari opportunità. Lo Stato non può accordare privilegi ad alcune categorie, dunque ci riconosca i diritti che ci spettano.

P.S. Caro direttore, questa lettera è uno scherzo innocente, il Giornale sarà sempre dalla parte della tradizione. Però la moltiplicazione dei diritti, che fa leva sul concetto (dilatato all'infinito) di «discriminazione», è una sfida concreta lanciata dal mondo progressista.

Come rispondiamo noi conservatori e sostenitori della società aperta? Cosa possiamo accettare e cosa dobbiamo respingere con forza? Questo sarà il dibattito dei prossimi mesi. Urgono risposte culturali e politiche.

di Alessandro Gnocchi

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