Che i grillini facciano la guerra in Parlamento si può anche capire. E non ho detto giustificare. Sono cresciuti alla scuola della Prima e della Seconda Repubblica e ne hanno viste - come noi - di tutti i colori. Dai «genitori» si impara sempre qualcosa, specialmente il peggio. Loro, i pentastellati, hanno appreso molto: perfino a menare le mani, oltre che il can per l'aia. Giancarlo Pajetta, comunista di rara simpatia, al primo giramento di scatole si distingueva nel salto dei banchi, finalizzato a prendere per il collo qualche avversario; quando si scatenava sembrava il cavallo in sella al quale Raimondo D'Inzeo vinse le Olimpiadi nel 1960, a Roma: zompava di qua e di là, uno spettacolo.
I leghisti, non privi di fantasia, estrassero un cappio per significare le loro intenzioni punitive nei confronti dei tangentari. Più avanti nel tempo, ma non tanto, gli antiprodiani festeggiarono la caduta del loro «nemico» - Romano Prodi, appunto - affettando gioiosamente una mortadella, dando il via alla degustazione in aula del prelibato salume. Sorvoliamo sulle scazzottate che hanno punteggiato per decenni l'intensa vita parlamentare. Tutto questo per dire e ribadire che i grillini non sono figli di nessuno. In ciò che hanno recentemente combinato alla Camera non c'è nulla di buono ma neppure di nuovo. Routine. Chi si scandalizza o è stordito o è in malafede. Certe cose succedono da sempre e non soltanto nei palazzi italiani. Deputati e senatori sono in pessima compagnia internazionale. Basta con le recriminazioni. Perciò appare assurda la reazione di Loredana Lupo (M5s), che ha annunciato di voler denunciare Stefano Dambruoso, reo di averle rifilato un ceffone nelle fasi più calde della rissa sviluppatasi a Montecitorio. La signora si lagna perché il questore (Scelta civica), per impedirle di attaccare gli scranni governativi, le ha ammollato un ceffone facendole saltare una lente a contatto. Di certo lui ha un filino esagerato. Perdio, c'è modo e modo per menare le mani. Ma anche lei, che parte lancia in resta per scagliarsi contro l'esecutivo, non ha compiuto un bel gesto. Un episodio del genere può dirsi concluso con un pareggio; non è il caso di arricchirlo con strascichi giudiziari. Suvvia, onorevole Lupo, una col suo cognome dovrebbe sapere che «homo homini lupus».
Il senso del nostro discorso è il seguente: datevele pure di santa ragione, poi però non atteggiatevi a vittime. Picchia tu che picchio anch'io, e che sia finita lì. Livido più, livido meno, che volete che sia? Fra l'altro non si comprende perché i seguaci di Beppe Grillo si siano tanto incavolati con la presidente della Camera, Laura Boldrini, per aver applicato, a un certo punto della discussione, la famosa norma della «ghigliottina», introdotta nel regolamento da Luciano Violante onde troncare gli interminabili dibattiti dei deputati (su emendamenti e roba del genere) che cercano di tirarla per le lunghe e di impedire così l'approvazione dei provvedimenti in scadenza. Trattasi di norma poco digeribile? Può essere. Tuttavia essa esiste e se la Boldrini legittimamente vi fa ricorso non può essere accusata di un bel niente. Semmai c'è da chiedersi perché il potere legislativo, pur considerandola ingiusta, non abbia mai pensato di depennarla. Sarebbero stati sufficienti cinque minuti per buttarla via. Invece nessuno ha mosso un dito. Sino al momento in cui la presidente non l'ha usata senza peraltro commettere illeciti. Siamo alle solite. Il Parlamento si dà delle leggi, votandole, e quando poi vengono applicate si accorge che sono folli e allora si straccia le vesti, e si scaglia contro chi le ha fatte valere. Nella circostanza è stata lapidata Laura Boldrini, che non sarà simpatica, ma che in questa occasione non si è resa responsabile di alcuna violazione. Chi l'ha aggredita (nel modo ormai noto) meriterebbe di essere sanzionato. Ma nell'attuale situazione conviene lasciar correre. Con tutti i problemi che ci affliggono mancherebbe solo di aprire un contenzioso di questo tipo. Evitiamo altre grane e facciamo finta che schiaffoni, insulti, volgarità e similari siano ammissibili nel nostro ordinamento, in attesa di un collettivo rinsavimento che dubitiamo possa avvenire presto.
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