RomaAttaccamento alla vita, un po' di fortuna e la cresta di roccia. Questi sono gli elementi che hanno salvato i due fratellini romani rimasti per ventiquattr'ore in aperta montagna, a 1500 metri d'altezza. Ne è convinto Rocco Agostino, direttore della UOC di Pediatria, Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dell'ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina di Roma, una delle massime autorità italiane nell'ambito della medicina pediatrica.
Come hanno potuto resistere Manuel e Nicole a meno cinque gradi di temperatura?
«Grazie a quella roccia probabilmente, che ha costituito una fonte di risparmio energetico. Questo ha permesso loro di andare avanti. Le rocce o rientranze delle stesse, raccolgono calore di giorno che rilasciano lentamente di notte. Probabilmente i fratellini si saranno anche abbracciati e, stando molto vicini, senza saperlo hanno ridotto la superficie corporea esposta al freddo. Inoltre immagino siano stati ben coperti e protetti con indumenti e abiti adeguati prima di uscire di casa».
Quanto si può sopravvive in mezzo alla neve a quell'età?
«Bambini così piccoli? Al massimo un paio di giorni in quelle condizioni, ma la speranza di trovarli vivi si allunga in presenza di cibo e acqua. Sono proprio mancanza di sete e la fame gli ostacoli più grandi».
Il fatto di essere in due ha contribuito a salvarli?
«Notevolmente. Quando si è soli è più alto il pericolo di cadere in depressione. In questo caso il corpo sviluppa meno endorfine e si abbassano le resistenze dell'organismo».
Cosa bisogna insegnare ai bambini qualora si trovassero a vivere situazioni simili?
«Innanzi tutto è fondamentale spiegar loro che bisogna cercare di ridurre la superficie corporea a contatto con il freddo, raggomitolandosi su se stessi se si è soli o nel caso contrario stringendosi agli altri. Inoltre non devono cercare rifugio in grotte o caverne coperte dalla neve.
«Pochi minuti e sarebbero morti per ipotermia»
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