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Poletti, comunista liberista che fa infuriare i sindacati

Al ministro del Lavoro tocca l'onere di applicare le aride ricette economiche renziane. È stato presidente Coop, colosso rosso contestato anche a sinistra per le paghe misere

Poletti, comunista liberista che fa infuriare i sindacati

Dotato di buon senso, la sua prima virtù, il neoministro del Lavoro Giuliano Poletti si è sempre dolcemente arreso alla realtà. Nato comunista romagnolo - perciò, duro e puro - lo è stato finché i tempi lo hanno consentito. Poi si è scolorito come le circostanze esigevano. È passato alle Coop, cioè al capitalismo rosso, e ha imparato che Cgil, Fiom e compagnia possono diventare più molesti della tze tze. In quarant'anni, ha placidamente transitato da Leonid Breznev a Matteo Renzi. Ora fa il ministro del Lavoro in un'epoca in cui deve applicare le aride ricette liberiste: contratti a termine, precariato, paghe da quattro soldi. Poletti, che è un pragmatico, si dice pronto ad adottare qualsiasi sistema pur di «non lasciare a casa nessuno». Naturalmente, questo piglio dà l'orticaria a Susanna Camusso, snerva Maurizio Landini e, nei salotti che contano, fremono, tra un'oliva e un sorso di bianco, vendoliani, girotondini, micromegani. Per questo, è nel mirino.
Godersi lo spettacolo della sinistra che, dopo decenni di demagogia, si dilania in una lotta intestina nel tentativo di governare il Paese, è un piacere cui ci si abbandonerebbe volentieri. Se non fosse che i toni, non sono da normale polemica, ma cruenti come nelle guerre civili, le più belluine. Il sito dell'Unità - il giornale dei diversamente comunisti - nella parte riservata ai commenti, è istruttivo. Si scopre intanto che molti piddini detestano le loro coop rosse e, per li rami, Poletti che ne è stato presidente nazionale dal 2002 fino all'ingresso nel governo in febbraio. Il motivo è che le Coop sfruttano e sottopagano operai e impiegati, opinione che pareva di destra, e che invece dilaga anche a sinistra. E allora perché - osservano i lettori dell'Unità - si affida il Lavoro proprio allo sfruttatore capo? Un lettore, nero su bianco, scrive: «Lo dico per esperienza: fare ministro del Lavoro il presidente delle Coop è come fare ministro dell'Interno Totò Riina». Cosa in concreto potrà fare Giuliano, è roba da palla di vetro. Non depone a suo favore il fatto che in materia di Lavoro non sappia un tubo, a parte l'ovvia esperienza di un uomo di 62 anni e l'amicizia con Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dai compagni. Dalla sua ha, però, che lady Fornero ha già fatto tutto il male possibile e lui peggio non può fare e, inoltre, il buon carattere, calmo e conciliante, che nelle questioni spinose è più utile del genio.

Alto, grosso, guance rosate e capelli grigio cachet, Poletti sembra il Padre priore di un prospero convento. È un autentico romagnolo con i placidi ghiribizzi della sua gente. È nato in quel di Imola, nella frazione Spazzate Sassatelli, nome che segna un uomo per la vita. Abita da sempre a Mordano, minuscolo paese che dette i natali a Dino Grandi, il gerarca che il 25 luglio '43 abbatté il fascismo con il celebre ordine del giorno. A Mordano la fissazione dominante non è il calcio, ma la «palla mano», una sorta di football senza uso di piedi. Giuliano, cominciò a praticarla da bimbetto, ne divenne un campione (in prima squadra nel Romagna) e, giunta la pancetta, assunse la vicepresidenza della Federazione nazionale. Nello stimato Istituto agrario «Sacarabelli» di Imola, prese diciannovenne il diploma di perito e si mise a lavorare nel settore che era anche quello dei genitori, ex mezzadri, poi agricoltori in proprio. «Io so bene cos'è il lavoro, sono nei campi da quando ho sei anni», si vanta spesso con enfasi veniale. La terza passione, oltre la palla mano e il lavoro, è la roulotte. La condivide con la moglie, Anna Venturini, assessore Pd nel vicino comune di Castel Guelfo e madre dei suoi due figli, Manuel e Thomas, ultratrentenni. Manuel, che è giornalista, li ha resi nonni. Poletti adora la nipotina, cosa che capita anche ai comunisti da quando non mangiano più i bambini. I coniugi Poletti trascorrono in roulotte le vacanze estive a trenta chilometri da casa sull'Adriatico. Si accampano da anni nella pineta di Pinarella che, per giudizio unanime, non è Saint-Tropez ma offre una simpatica atmosfera da dopolavoro e orchestra Casadei. La prima telefonata che Giuliano ha ricevuto dopo la nomina è stata della vicina di roulotte che temeva di non vederli quest'estate. Ma il neo ministro le ha replicato «ciò» che, tradotto dal mordanese, significa: «Dai, ovvio che sì».

Ho già detto che è stato sempre comunista. Fu, dal 1982 al 1989, capo ininterrotto della federazione Pci di Imola mentre a Roma si succedevano Berlinguer, Natta e Occhetto. Poi, senza una piega, passò al Pds, Ds, ecc. Da presiedente della Lega delle Cooperative querelò nel 2006 il Cav, allora capo del governo, che in una trasmissione tv parlò di connivenza tra camorra e coop rosse della Campania. «Il premier ha mentito», disse indignato Giuliano, pur sapendo che c'era del vero. La magistratura archiviò la querela di lì a poco. Poletti, che non è noto come antiberlusconiano fanatico, era però ai ferri corti col centrodestra da quando, nei primi anni Duemila, il governo provò a cancellare gli sconti fiscali di cui le coop godono dai tempi di Noè. Si racconta che Poletti, profittando della sua amicizia emiliana-romagnola con l'onorevole Franco Grillini (ex Pci) si fosse accordato con lui per uno stratagemma. Gli chiese di tenere aperto il cellulare durante la discussione del provvedimento in commissione così da avere notizie in diretta e manovrare i deputati amici in tempo reale.

Resta da dire come Poletti, partendo dal mesto Berlinguer, sia arrivato a un tipo rock come Renzi. Fino a un anno fa, Giuliano era un bersanian-dalemiano, cioè il post comunista doc, distante un oceano dal fiorentino. Ma col disastro di Bersani che, dopo le elezioni 2013, non riuscì a formare il governo, capì che doveva cambiare cavallo se voleva restare in sella. Così, in agosto, fece il salto della quaglia con un gesto simbolico da sovrano medievale. Renzi era a Imola per un comizio. Poletti andò sul palco e, a sorpresa, gli strinse la mano. Era il muto segnale che tutta la cooperazione romagnola aspettava per salire sul nuovo carro. Convincere poi Renzi che Poletti ministro poteva tornargli utile, fu per il sottosegretario, Graziano Delrio, che del premier è il mentore, un gioco da ragazzi. «È il capo delle coop rosse: ti coprirà a sinistra e avrai dalla tua le turbe di Romagna», gli disse e lo convinse.

Così, Giuliano Poletti ha lasciato la roulotte in garage e inforcato l'auto blu.

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