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Politici solidali con Mulè ma non cambiano la legge

Sostegno bipartisan al direttore e ai due giornalisti di "Panorama" condannati per diffamazione. Però resta la norma che prevede la cella per i reati a mezzo stampa

Politici solidali con Mulè ma non cambiano la legge

Solidarietà, ma non bipartisan. Un coro di voci dal centrodestra, qualche solista dall'altra parte dell'emiciclo. La sentenza choc del tribunale di Milano che ha condannato a un anno di carcere i giornalisti Andrea Marcenaro e Riccardo Arena e a 8 mesi il direttore di Panorama Giorgio Mulè scuote il Palazzo. Ma unisce solo fino a un certo punto le forze che pure governano insieme il Paese. E così, ancora una volta, si deve considerare l'idea che cronisti e inviati possano finire in cella per quello che hanno scritto. Una situazione imbarazzante, già esplosa nei mesi scorsi quando a finire agli arresti domiciliari era stato il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. In quell'occasione, sotto la pressione dell'opinione pubblica indignata, deputati e senatori di tutti gli schieramenti avevano provato a confezionare la nuova legge sulla diffamazione, attesa da anni. I parlamentari si erano divisi su questo o quel punto, ma tutti o quasi avevano sostenuto che un giornalista non può andare in prigione per i suoi articoli.
E invece no: placata la tempesta si scopre che siamo esattamente al punto di prima. La norma che dovrebbe allinearci agli standard europei è incagliata nei soliti cassetti, ingolfati di disegni di legge. E così un pezzo uscito sul settimanale della Mondadori alla fine del 2009, e intitolato Ridateci Caselli, rischia di costare caro, molto caro a Mulè e Marcenaro cui il giudice di Milano Caterina Interlandi ha negato la sospensione condizionale della pena. Proprio come era capitato a Sallusti, «salvato» solo dal provvidenziale intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che aveva commutato i 14 mesi di detenzione in una pena pecuniaria.

L'Italia, anche su questo versante, non fa passi in avanti. E però da Renato Schifani a Maurizio Gasparri, da Vannino Chiti a Ernesto Carbone, sono davvero tante le dichiarazioni pro Panorama. «È una pagina nera per la libertà d'informazione», afferma l'ex presidente del Senato Renato Schifani, mentre Vannino Chiti del Pd esprime ad alta voce il proprio imbarazzo: «Il carcere per la diffamazione a mezzo stampa è un errore che la democrazia non può permettersi». E il suo collega di partito Ernesto Carbone rincara la dose: «La libertà di stampa è la cartina di tornasole dell'agibilità democratica». Renato Brunetta ricostruisce la genesi della vicenda: l'uscita del servizio, una sorta di reportage dentro la procura di Palermo, le sue divisioni, i suoi veleni, le sue faide, e la successiva querela del procuratore Francesco Messineo. «Ci risiamo - dice l'ex ministro azzurro - un giornalista scrive un articolo, il direttore lo pubblica, un magistrato querela e un altro magistrato infligge il carcere ai giornalisti negando le attenuanti. Un cortocircuito giudiziario che scandalizza». E Gabriella Giammanco sottolinea come «nessuna delle grandi firme vibranti si è esposta in difesa della libertà di stampa, pilastro della democrazia. Niente. Se non fosse stato per il Giornale la condanna sarebbe passata sotto silenzio».

Stupore, incredulità, disagio: il verdetto di rito ambrosiano suscita un'infinità di commenti. E non si tira indietro neppure Marina Berlusconi, presidente della Mondadori: «La libertà di stampa non può essere chiusa in una prigione. Panorama ha ancora una volta soltanto fatto, e bene, il proprio mestiere. Anche di fronte ad una sentenza che lascia senza parole, continuerà come sempre ad esercitare la sua funzione di attento, acuto e profondamente libero protagonista della vita del Paese».
Il punto però è che la futuribile norma è al palo: sfumato l'accordo ad un passo dal traguardo e conclusa la legislatura, la discussione è tornata ai blocchi di partenza. In questo momento ci sono due iniziative in cantiere alla Camera: una proposta di legge targata centrosinistra e già assegnata ad un relatore, ed un'altra, sponsorizzata dal centrodestra. Nulla invece all'orizzonte del Senato. E le penne rischiano ancora la galera, come Sallusti e Giovannino Guareschi, arrestato negli anni Cinquanta. Deborah Bergamini del Pdl annuncia che «segnalerà la preoccupante sentenza al Consiglio d'Europa».

Per l'Italia sarà l'ennesima figuraccia.

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