«Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino». L'immortale gag di Benigni-Troisi ha fatto il suo tempo come simbolo della burocrazia. Oggi c'è di peggio, basta fare un tour degli alberghi d'Italia e constatare l'ultima perla partorita dallo strabismo delle pubbliche amministrazioni centrali e locali: alla voce «federalismo» leggono «feudalesimo». E la tassa di soggiorno ne è un esempio folgorante.
Per capirlo bisogna calarsi nei panni di una famigliola di turisti da Hong Kong, madre, padre e due figli, uno di cinque anni, l'altro di tredici. Sbarcano a Fiumicino e si accomodano nel proprio hotel a Roma. Supponiamo che non ci siano scioperi dei trasporti, il bagaglio non sia stato smarrito, non siano saliti per errore sull'auto di un tassista abusivo venendo taglieggiati: arrivano in hotel e dopo un soggiorno di sei notti ripartono. Alla reception si sentono chiedere un supplemento di due euro a persona per ogni notte, cioè 36 euro, perché il figlio più piccolo non paga: a Roma sono esentati dalla tassa di soggiorno i bambini fino a 10 anni. Poco male, è un balzello in vigore anche in altri Paesi, anche se nel resto d'Europa va da 0,45 a 2,25 euro, mentre in Italia il massimale previsto dalla legge è addirittura di 5 euro (in Francia, ad esempio, è 1,50).
Naturalmente ogni Comune, dice un nuovo rapporto di Federalberghi che ha studiato l'applicazione del balzello in tutta Italia, ha fissato la cifra che voleva e con le modalità che voleva: ai municipi infatti, la legge concede anche di decidere un numero massimo di notti su cui applicare la tariffa e una variabilità per tipo di albergo. C'è chi differenzia a seconda delle stelle, chi a seconda della fascia di prezzo della camera, chi non carica la gabella sugli ostelli, chi non fissa limiti di durata del soggiorno e chi invece si limita a chiedere una tassa di sbarco, che segue modalità completamente diverse.
Succede così che a Greve in Chianti, nel Senese, si paghi da 0,40 fino a 4 euro a persona a notte, per un massimo di quattro notti, mentre a Sondrio bisogna sborsare da 1 a 5 euro, e fino a 15 notti. Anche le grandi città d'arte non hanno fatto scelte omogenee (e ti pareva): a Milano da 2 a 5 euro, a Roma 2 euro per tutti, a Genova da 1 a 3 euro (max 8 notti), a Venezia 2,9 euro e a Firenze 2,7.
Ma non è finita. Questa giungla fiscale offre altri misteriosi recessi da esplorare. Torniamo alla famiglia di Hong Kong: è riuscita a individuare il torpedone che può trasportarla alla prossima destinazione, la vicina Tivoli, con la villa imperiale delle cui delizie hanno letto nelle Memorie di Adriano. Resteranno per una notte in albergo nella cittadina laziale. Al momento di pagare il conto hanno già contato la cifra per la tassa di soggiorno, ma sorpresa: a Tivoli è di solo 1 euro a testa (ma aumenta se sei in un 4 stelle), però paga anche il bimbo piccolo, perché l'esenzione è limitata ai minori di due anni. I turisti di Hong Kong incassano la sorpresa, ma resta loro qualche dubbio, ne hanno sentite di belle sui raggiri ai danni dei turisti orientali da parte di esercenti italiani (il caso dei 580 euro chiesti a una famiglia di giapponesi in un ristorante romano ha fatto il giro del mondo). Ma, tutto sommato, alla fine hanno pagato meno che a Roma, quindi il loro tour riparte. Solo che a Napoli scopriranno che entrambi i figli sono esentati (il limite è 18 anni), a Rimini pure (limite 14 anni), sul Lago di Garda dipende dalla sponda: su quella bresciana di Salò il limite per l'esenzione è 12 anni, sulla Veronese di Garda è 14. Oltretutto, un'inchiesta del Touring Club ha svelato che anche tra i singoli albergatori c'è qualcuno che sbaglia o fa il furbo: c'è chi chiede il pagamento in contanti, chi l'ha chiesto anche a cittadini residenti nello stesso Comune, a Venezia un albergatore ha riscosso dai turisti, ma non ha versato alle casse pubbliche.
E il nostro turista sarebbe ancora più confuso se sapesse che non è troppo chiaro neanche come vengano utilizzati i proventi di questa tassa. Abolita nel 1989, è stata reintrodotta dal governo Monti nel 2010 ovviamente, come si usa negli ultimi anni, in qualità di finta tassa di scopo: dovrebbe servire a finanziare i servizi al turismo e promuovere il Belpaese, così come la Tasi dovrebbe pagare i servizi indivisibili. Ma prima di queste tasse, con quali soldi venivano finanziati? Una vera tassa di scopo dovrebbe sostituire una quota della fiscalità generale, non aggiungersi. E, soprattutto, dovrebbe essere vincolata a un fine specifico. Invece ogni Comune decide da sé: chi li spende in sagre, chi nel rifare le aiuole, chi nel trasporto pubblico e addirittura c'è chi li ha usati per finanziare gli straordinari fatti dai vigili urbani per particolari manifestazioni pubbliche.
Il risultato finale è che viene applicata solo in 489 Comuni, ma giusto quelli che ospitano il maggior numero di turisti. E il gettito totale cresce al galoppo: nel 2012 era di 175 milioni, l'anno scorso è salito a 268. Il povero turista cinese, nel frattempo, è ripartito con una sola certezza: in Italia il fisco parla arabo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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