Preti di strada, guru del gusto, imprenditori Quella strana corte del marchese arancione

Le amicizie giuste del nobile di Sel: da don Gallo a Farinetti fino all'uomo d'affari Musso e al leader degli artigiani Negri

Preti di strada, guru del gusto, imprenditori Quella strana corte del marchese arancione

Genova - Il telefonino, Marco Doria, candidato sindaco della sinistra a Genova, s’è deciso a comprarlo solo pochi mesi fa, per la campagna elettorale, ma praticamente l’ha acceso sempre e solo dopo mezzogiorno. L’ha sempre odiato, insomma, il cellulare, come fosse un simbolo della borghesia più retriva, lui che pure ha il titolo non usurpato di marchese, discendente della storica e nobile casata di dogi e ammiragli. E dell’antico lignaggio - compreso il relativo sussiego -, qualcosa dev’essergli rimasto dentro, visto anche come ha gelato il candidato sindaco del Carroccio, Edoardo Rixi, durante un dibattito pubblico: «Possiamo darci del tu», ha azzardato Rixi. Ricevendone in risposta un secco: «Non ne vedo la necessità», che la dice lunga su come il vendoliano Doria intenda cordialità e democrazia.
Per non dire di quella volta che il sorprendente vincitore delle primarie genovesi sul sindaco in carica Marta Vincenzi e sulla senatrice Roberta Pinotti si è presentato ai camalli del porto e ha raccontato di Tucidide e la guerra del Peloponneso... E subito dopo, alla mensa dei portuali, ha sbucciato la mela senza toccarla con le mani, utilizzando solamente forchetta e coltello. Un vero signore, dunque. Che fa professione di populismo, ma si tiene ben strette - lo ha rivelato giorni fa Paola Setti su queste pagine -, le proprietà immobiliari che gli sono arrivate in eredità. Mica poco: buona parte di un palazzo del Cinquecento tutelato dalla Soprintendenza (che proprio per questo, fra l’altro, usufruisce di un’Imu stracciata) nella centralissima via Garibaldi, a pochi metri dalla sede del Comune, e una serie di appartamenti e box nelle zone più «in» di Genova. È sempre lui, Marco Doria - figlio di quel Giorgio Doria, «il marchese rosso», che fu vice sindaco della città e, come racconta l’agiografia comunista, «venne diseredato dalla famiglia per la sua scelta politica» - è sempre lui che continua a coltivare le amicizie giuste negli ambienti che contano. Nei salotti buoni della città, quelli che gli hanno garantito, a livello trasversale, l’appoggio per la scalata ai vertici dell’amministrazione: fra i suoi amici e sostenitori si contano industriali, manager e professionisti, dall’avvocato Luca Lanzalone (uno dei più affermati a Genova) all’imprenditore-eminenza grigia Marco Desiderato, dal terminalista Bruno Musso (che ha allestito per Doria una festa-promozione con 700 invitati) a Felice Negri, numero uno della potente corporazione degli artigiani (che l’ha proposto con successo per il consiglio della Fondazione San Paolo), da Oscar Farinetti, patron di Eataly, alla famiglia Gattiglia (catena di supermercati).


Senza dimenticare la sponsorizzazione e benedizione entusiasta offertagli da quel don Andrea Gallo, sedicente sacerdote degli ultimi, ma star dei primi piani (in tv, nelle arene di Santoro e Travaglio) che ha radici ben piantate nelle sacrestie laiche del potere cittadino e non solo. Insomma, non si può dire che Marco Doria viva solo di pane e proletariato. È il companatico, piuttosto, servito in vassoi d’argento, che l’ha portato così in alto.

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