Il primo cane sull'Everest ma ora finitela di tormentarli

Il primo cane sull'Everest ma ora finitela di tormentarli

É il primo cane ad avere ufficialmente conquistato il mitico campo base dell'Everest, assieme alla sua proprietaria. Si chiama Rupee ed era un cane randagio, fino a quando Joan Lefson lo ha visto, mezzo sepolto in una fetida discarica nella periferia di Ladakh, cittadina a nord dell'India. Era magro, disidratato, gravemente malato e ormai al termine della sua vita. Per fortuna ha incontrato lo sguardo di Joanne, che lo ha prelevato dall'immondezzaio e lo ha fatto ricoverare presso una clinica veterinaria. «Stentava a camminare» afferma Joanne e il veterinario gli aveva dato un paio d'ore di vita. E invece Rupee ce l'ha fatta: la sua tempra invidiabile gli ha consentito di riprendersi in pochi giorni.
Già in precedenza, Joanne si era aggiudicata i titoli di testa di vari quotidiani, girando il mondo con Oscar, un altro cane salvato da un canile, questa volta in Sud Africa. I due avevano girato 36 nazioni in tutto il mondo, perorando la causa dei cani abbandonati, circa mezzo miliardo in tutto il pianeta. Purtroppo Oscar è morto investito da un camion in California, dopo essere stato l'unico cane a trotterellare sulla muraglia cinese (con tanto di permesso). Era con lui che Joanne aveva pianificato il suo viaggio sulla montagna più alta del mondo, ma la sua morte e l'incontro con Rupee ha cambiato l'attore. Rupee, dopo un recupero invadibile, Joanne ha deciso di portarlo con sé nel viaggio al campo base sull'Everest. I due sono stati seguiti da Dev Argawel, un documentarista, che ha filmato l'impresa.
«Nonostante fosse nato nell'Himalaya e non dovesse soffrire più di tanto per l'altitudine - dice Joanne - io ero molto preoccupata ugualmente per quanto Rupe Aveva passato e temevo che gli 8000 metri potessero rivelarsi molto pericolosi. Avevo così previsto una via d'uscita tramite un'attrezzatura speciale, manovrata da un portatore, che gli consentisse di essere messo rapidamente in salvo». Il momento di maggiore commozione, per Joanne, è stato quando Rupee ha scoperto la neve e ha cominciato a camminarci sopra e a dare la caccia ai fiocchi tentando di masticarli. I turisti che salivano lungo la montagna non potevano credere ai loro occhi, nel vedere un cane al campo base dell'Everest e qualcuno mostrava tutta la sua invidia per non avere portato con sé anche il proprio cane.
Il viaggio di Rupee, più ancora di Oscar, è certamente curioso, ma lasciatemi sollevare qualche perplessità sugli scopi di Joanne, nobilissimi quando porta in giro per il mondo Oscar per sensibilizzare le popolazioni sul problema del randagismo, un po' meno quando porta il cineamatore a filmare l'«impresa» di un cane che è stato a un passo dalla morte e per il quale Joanne stessa prepara un piano di salvataggio extra in caso di grave pericolo.


Quanto è giusto portare con sé i propri animali durante imprese ai limiti? Viene in mente la triste vicenda del giovane canadese che, pochi giorni fa, in un viaggio eroico nel Canada più selvaggio, dopo il naufragio e la perdita d'ogni supporto, ha dovuto uccidere e mangiare il suo «adorato» cane che aveva portato con sé. Probabilmente c'è buona fede in queste avventure, ma, conoscendo le umane debolezze, l'esibizionismo è spesso pronto a prendere il sopravvento sulla generosità.

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