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"Processo alla Ong non è equo". Altra lezione buonista all'Italia sui migranti

L'Onu presuppone che l'Italia non posa portare a processo la Ong Iuventa perché "difensori dei diritti umani". L'ennesima lezione buonista al nostro Paese

"Processo alla Ong non è equo". L'ennesima lezione buonista all'Italia sui migranti

Chiunque, a causa dell'atteggiamento di prostrazione della sinistra verso chiunque si trovi all'esterno del confine italiano, si sente in diritto di dare lezioni all'Italia. Anni e anni di governi assoggettati ai leader stranieri hanno radicato questa certezza, oggi difficile da scalfire. Lo dimostrano le parole di Gerald Darmanin, che ha tacciato Giorgia Meloni di essere incapace di affrontare il problema dell'immigrazione. Ma anche l'Onu, che vuol fare la lezione all'Italia sul processo Iuventa, relativo al procedimento aperto contro l'equipaggio della nave Ong messo sotto accusa per presunti casi di collusione con i trafficanti durante le missioni di soccorso in mare tra settembre 2016 e ottobre 2017.

Gli imputati hanno sempre negato le accuse a loro carico, tuttavia il 21 maggio 2022 anno è stato aperto il procedimento penale preliminare presso il tribunale di Palermo. Da quel momento, si sono mobilitati i relatori speciali dell'Onu, che attenzionano il caso e avrebbero rilevato passaggi fallaci quali, per esempio, fascicolo dell'accusa non tradotto nella lingua dell'imputato, ritardi nel fornire un interprete, assenza di garanzie del giusto processo, compreso il diritto degli imputati a essere adeguatamente informati sul procedimento e notificati con adeguato preavviso delle accuse contro di loro.

A detta dell'Onu, questo potrebbe essere indice di mancanze "sistematiche nei procedimenti giudiziari avviati contro imputati non di lingua italiana in Italia e rappresentino una tendenza molto più ampia di violazione del diritto a un processo equo". Ma il punto, com'è facilmente immaginabile, non è questo. Perché l'Onu, nella sua relazione, ammette che la sua preoccupazione è per quel particolare imputato. Infatti, a detta dei relatori speciali, "l'apertura e il perseguimento del procedimento contro i difensori dei diritti umani" equivale "a criminalizzare le loro legittime attività in materia di diritti umani, vale a dire salvare vite umane in mare".

Si mette pertanto in discussione il diritto uno Stato di procedere a un processo nel caso in cui sussistano elementi che possano portare all'accertamento di una condotta illegale. Un preconcetto gravissimo quello sul quale si basa la relazione dell'Onu, dove si sottolinea anche la "preoccupazione per il ripetuto uso" dell'articolo 122 del testo unico sull'immigrazione clandestina "per colpire i difensori dei diritti umani" e si accusa la legislazione italiana che non sarebbe compatibile con "la definizione di 'traffico di migranti' fornita dal Protocollo delle nazioni Unite contro il Traffico di esseri umani".

Ma non solo, perché l'Onu mette nel mirino anche la decisione del governo di costituirsi parte civile nel processo. Essa, dicono, "segnala che lo Stato vuol confondere il lavoro essenziale svolto dai difensori dei diritti umani con attività criminali e in particolare il traffico di migranti. Si tratta di un approccio che mina gravemente l'impegno dichiarato dell'Italia a sostenere i diritti umani e i difensori dei diritti umani". Sussiste nella relazione Onu la presunzione che, in quanto operante come Ong, l'equipaggio della Iuventa non possa aver commesso alcun reato.

Un approccio che non collima con la necessità di trovare la verità, ovunque essa sia, mediante un giusto processo.

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