Roma - Romano Prodi è sempre più un cocktail fatto con gli ingredienti della sua maggioranza. E per bilanciare il sapore asprigno del rigore finanziario e di un protocollo sul welfare maldigerito a sinistra, non esita a mettere nello shaker una forte dose di moderno populismo; per certi versi simile a quelli di Juan Peron a favore dei descamisados.
In una lettera al popolo della sinistra, che minaccia manifestazioni contro quel protocollo (che verrà inserito nella Finanziaria), scrive: «Vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come nei luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l’orgoglio “popolare”, gli stimoli e naturalmente anche le critiche. Ma ricordando - prosegue - che questo governo merita fiducia (ieri ha ottenuto la numero 21, ndr)».
Solo Juan Domingo Peron avallò manifestazioni popolari contro il suo governo; e conquistò la piazza togliendosi la giacca e restando in maniche di camicia.
Fra i successi del governo, Prodi (ricevuto in serata al Quirinale) cita l’andamento dell’economia, le «tutele» dei consumatori attraverso le liberalizzazioni; di come «combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte». Ricorda anche di «aver rimesso a posto il debito», seppure l’andamento del debito rallenti non per le misure del governo, ma per la crescita del pil.
E per riprendere un po’ di quel populismo peronista a favore delle manifestazioni, ricorda che il governo «non teme i giudizi europei ed internazionali». Così, come vuole il popolo della sinistra che invita il governo a non ascoltare le critiche che sulla politica economica gli vengono mosse dall’Unione europea, dal Fondo monetario, dall’Ocse; ed in Italia dalla Banca d’Italia e dalla Corte dei Conti.
Musica per le orecchie della sinistra. O così dovrebbe essere, almeno nelle intenzioni del presidente del Consiglio. Perché tutta la lettera ha un unico obiettivo: ricomporre la frattura (più sotterranea che palese) che rischia di aprirsi nella maggioranza con l’autunno caldo, minacciato dai partiti della sinistra estrema.
Così con la lettera, Romano Prodi difende la scelta del protocollo sul welfare e sulle pensioni. «Non è stato un atto isolato od autoritario - si giustifica - ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata». Riconosce che «si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l’equità sia massima e si cancellino i favoritismi. Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito».
E cita quel che il protocollo ha cancellato. Ha eliminato - ricorda - lo scalone previdenziale «come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare». «Abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e meno giovani con un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni; abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti e limitato le pensioni d’oro». «Abbiamo fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva».
Ed aggiunge: «Certo si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come “popolari”».
Insomma, quel protocollo si può modificare, sembra dire Prodi alla sinistra della sua maggioranza. E soprattutto fa capire che quel protocollo lo può modificare solo un governo con lui a Palazzo Chigi. Solo lui - sembra dire fra le righe il presidente del Consiglio - può tenere insieme una coalizione che va da Dini a Giordano, da Diliberto a Mastella, da Turigliatto a Di Pietro. Nessun’altro. Nemmeno se si chiama Veltroni.
«Ed abbiamo ancora molto da fare - dice Prodi - e non solo su temi fiscali ed economici».
Così c’è spazio per promettere misure contro le morti bianche nei cantieri, a favore dell’ambiente, dell’energia, della ricerca. E chiude con un appello: «Non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi, anni bui».
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