Roma - Eppur si muove. Rintanato a preparare la Direzione di domani- birretta e solitudine perfetta- il segretario Pier Luigi Bersani da qualche giorno è sparito anche da Twitter . Nessun proclama e nessuna risposta, nessun buon sentimento e neppure un pensierino degno di nota. Troppe le variabili di quest’ennesimo periodo tormentato, troppe le forze centrifughe di un partito smarrito anche dopo la (non) vittoria elettorale, e diviso persino di fronte alla proposta di semipresidenzialismo, per sfuggire alla paralisi.
Dopo l’accelerazione degli alleati Sel e Idv, il segretario ha telefonato a Vendola in mattinata, per essere sicuro che all’assemblea di Sel di ieri pomeriggio non si andasse molto oltre la richiesta di «Stati generali» al più presto. E Nichi difatti lo accontenta, spiegando ai suoi - perché suocera intenda che non s’è mai sognato di porre né ultimatum né minacce al Pd: «Nel mio stile non c’è mai stato il tono minatorio ». Vero: il governatore pugliese, storia della stessa storia, oggi riscuote presso gli ex compagni del Pci- Pds-Ds molto favore e simpatia. E non solo da parte di Vincenzo Vita (già «correntone»), ma persino dal post-dalemiano Nicola Latorre, che propone liste unitarie con Vendola e comitati civici di (prossima?) formazione. Quel che il partito non sopporta è Di Pietro, e tutti sarebbero entusiasti di lasciarlo correre da solo con la speranza che cada in un burrone. Così la presidente Rosy Bindi si limita («Sel e Idv non pensino che con i veti blocchino il dialogo con i moderati »), mentre l’ultramoderato Marco Follini insiste nella sua vecchia tesi cardinale: «Lasciamo il Bersani di cartone a Vendola e Di Pietro e portiamo il Pd e il Bersani in carne e ossa da un’altra parte».
Bersani uno e bino? In parte sì, visto che la formazione delle alleanze per le politiche è un tema caldo ma a medio termine, e alla Direzione potrà traccheggiare. I tempi di fine legislatura imporranno invece risposte più incisive sulla riforma semi-presidenzialista proposta da Berlusconi. I toni propagandistici usati sulle prime dal segretario hanno scontentato molti, lasciando ora posto a una riflessione più articolata. Molte voci si sono levate per chiedere di «non perdere questa occasione d’oro» (come l’ha definita Antonio Polito).
Se il moderato Giorgio Merlo teme di «restare con il cerino in mano», il prodiano Arturo Parisi è stato il più convinto a sollecitare il Pdl a chiarire nei fatti «come sia possibile dare seguito alla proposta». I sette-otto mesi di lavoro parlamentare che restano sembrano assai pochi per tutti i passaggi richiesti da una riforma costituzionale di tal peso. E risposte gentili, interessate, anche solo per «vedere le carte e accertarsi che non sia un bluff» sono arrivate dai veltroniani, da Violante, da Gentiloni. Veltroni ha consigliato una puntata interlocutoria e l’apertura di Montezemolo ha fatto il resto. Così Bersani, in Direzione, non sfuggirà a una risposta. Ma cercherà di rovesciare l’ «onore della prova», invitando il partito di Alfano a varare prima del semipresidenzialismo alla francese una modifica del Porcellum , introducendo il doppio turno, per dimostrare serietà di intenzioni.
Dal punto di vista costituzionale richiesta un po’ illogica, considerato che i sistemi elettorali discendono dalla forma di governo, e non il contrario.
L’anima moderata del Pd resta però tentata dal condurre in porto la forma repubblicana voluta da D’Alema nella Bicamerale del ’98: una grande rivincita che consentirebbe di introdurre un sistema a doppio turno assai favorevole al Pd, oltre a rappresentare una novità talmente grande da porre argine alla montante ira degli elettori stufi dell’immobilismo.Come scrive Pippo Civati sul suo blog: non facciamo che la sfida del 2013 «sia tra un partito conservatore e un partito autoconservatore». Ma forse, per svegliare il Pd, servono solo tanti grilli per la testa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.