RomaOra perfino l'Associazione nazionale magistrati bacchetta duramente Antonio Ingroia per i suoi «comportamenti politici». Così, dice il presidente Rodolfo Sabelli, si «appanna» l'immagine di imparzialità della magistratura.
Ha tirato troppo la corda l'aggiunto di Palermo, che alla festa del Fatto quotidiano ha incitato la folla a «cambiare la classe dirigente», perché solo così si potrà conoscere la verità sulle stragi di mafia. E con lui l'altro pm palermitano che si occupa della trattativa tra Stato e mafia, Nino Di Matteo.
La reazione del sindacato delle toghe, per bocca del suo presidente Sabelli, è inusitatamente pesante. E ad ambedue i pm viene contestato di non essersi dissociati dalla vivace contestazione del capo dello Stato, da parte della platea.
Il «partigiano della Costituzione» Ingroia, come si autodefinì ad ottobre alla festa del Pdci provocando una tirata d'orecchi dall'Anm e un richiamo dal Csm, rischia davvero provvedimenti disciplinari. Ma non sembra preoccuparsene, forse si sente intoccabile o davvero presto lascerà la toga. La sua replica è stizzita: «Rivendico la mia analisi storica e sociologica del fenomeno mafioso: il collega Sabelli conosce solo una frase estrapolata del mio discorso. E di mafia ne capisco più di lui, con tutto il rispetto».
Nella bufera c'è anche Di Matteo che si è lamentato del «silenzio assordante» di Csm e Anm, di fronte agli attacchi alla Procura palermitana per le intercettazioni di Giorgio Napolitano. Ora l'Associazione parla, ma in senso inverso a quello che il pm auspicava.
Sabelli premette che quando le critiche sono diventate insulti l'Anm ha difeso i pm, ma poi va giù pesante sulle arringhe alla festa del Fatto. E usa parole che configurano un illecito disciplinare.
«Tutti i magistrati - dichiara - e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità, cioè da comportamenti politici». Con l'invito a cambiare classe dirigente, «Ingroia si è spinto a fare un'affermazione che ha oggettivamente un contenuto politico». Il rischio è di «offuscare l'immagine di imparzialità della procura di Palermo».
Non basta. Come hanno potuto Ingroia e Di Matteo, si chiede il presidente dell'Anm, assistere in silenzio alla «manifestazione plateale di dissenso nei confronti del capo dello Stato», di domenica alla festa del Fatto quotidiano?
«In una situazione così - dice Sabelli-, un magistrato deve dissociarsi e allontanarsi». Esempi sbagliati per tutte le toghe quelli dei due pm palermitani. Prima perché hanno parlato troppo, poi perché hanno taciuto. Il numero uno dell'Anm prosegue la sua lezione deontologica, spiegando che una toga «deve evitare ogni tipo di sovraesposizione, non può assistere in modo silenzioso a manifestazioni che assumono valore politico», né «mostrarsi sensibile al consenso della piazza».
Un intervento del genere avrà certo un seguito al Csm e bisognerà vedere come si muoveranno i due titolari dell'azione disciplinare, la Guardasigilli Paola Severino e il Procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani.
Intanto, alimenta lo scontro politico tra Pdl e Pd, all'interno della strana maggioranza. Maurizio Gasparri si chiede dove fosse finora Sabelli, per ignorare che Ingroia «da tempo si è rivelato militante politico di parte, provvisoriamente impegnato in una doppia attività di magistrato e di ideologo». Puntualmente gli ribatte Donatella Ferranti, che non entra nel merito ma condanna «l'ennesima rozza strumentalizzazione sulla giustizia» del capogruppo Pdl.
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