Ma quale credibilità, era il peggior presidente Ue

Roma Comunque ha «credibilità internazionale». Il curriculum, a Romano Prodi, ieri impallinato dal Pd a Montecitorio, non manca: cinque anni presidente della Commissione Ue, dal 2010 presidente del Gruppo Onu per il peacekeeping in Africa, membro dell'influente lobby di Aspen, consulente dell'agenzia di rating cinese Dagong. Tuttavia, se si confronta il biglietto da visita chilometrico con le prove pratiche di Prodi, il risultato lascia a desiderare. Due volte premier in Italia, entrambe disarcionato al secondo anno, è soprattutto il suo quinquennio da presidente della Commissione europea che ha deluso gli osservatori internazionali.
Al di là della condanna alla sua Commissione da parte della Corte di giustizia europea nel 2008, la rassegna stampa di Prodi ai vertici Ue non si può dire esaltante, anzi. Un fuoco di critiche, stroncature, accuse da tutti i più importanti giornali europei, che fecero perdere la pazienza al mansueto Professore: «Stupide menzogne riscaldate!». Ma perché ce l'avevano tanto con lui il Financial Times, l'Economist, il Wall Street Journal, Die Welt, Le Monde, Libération, il Times e qualche altra dozzina di influenti giornali internazionali? Ancora prima dello scandalo Eurostat (appalti truccai dell'istituto di statistica di Bruxelles), che travolse la sua Commissione, Prodi era stato già messo sotto tiro dagli editorialisti internazionali. I tedeschi, forse inaciditi dalla presidenza ad un italiano, misero persino i dubbio le sue competenze linguistiche. «Quando parla Prodi, sempre più goffo e maldestro, l'interesse cala. In italiano è difficile capirlo e se passa all'inglese o al francese l'enigma è ancora maggiore» sibilò il Frankfurter Allgemeine Zeitung, auspicando la sua sostituzione, dopo solo due anni di mandato, con uno statista di maggior spessore, Javier Solana. «Ma sono stato forse assunto come interprete o sono stato presidente della Commissione? Ho insegnato in inglese tanti anni alle migliori università, anche ad Harvard» rispose piccato Prodi.
«Stile disordinato» della comunicazione, scarsa padronanza delle lingue, «tendenza a fare gaffe», in questi tre difetti il Financial Times riassumeva il bilancio di Prodi a Bruxelles, «un fallimento» secondo molti diplomatici – scriveva ne 2004 il Ft, che un'altra volta lo definì «un dilettante catapultato su una poltrona troppo importante, la cui mancanza di credibilità è diventata chiara in modo imbarazzante già nel 2001». Ancora più duro Libération, il quotidiano della sinistra parigina: «Prodi, il pantofolaio di Bruxelles, è il peggior presidente che la Commissione abbia mai avuto. Sotto il suo regno, l'esecutivo europeo ha perso la sua autorità sia morale che politica». Sulla stessa linea anche Le Monde: «Senza carisma e pessimo comunicatore».

Nel 2004 il Times di Londra si stupisce: «L'operato di Prodi a Bruxelles, benché deriso in quasi tutta Europa, è motivo di orgoglio per molti italiani». Bordate pure dagli editorialisti tedeschi: «Non sa parlare, non ha alcuna capacità presentare una visione strategica del futuro dell'Unione». Sicuri della «credibilità internazionale»?

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