Quando per i tecnici la democrazia è un peso

Per i prof al governo, che nessuno ha votato, le critiche dei parlamentari sono solo un fastidio

Quando per i tecnici  la democrazia è un peso

Ecco s’avanza uno strano soldato, diceva una vecchia canzone rivoluzionaria. Oggi quel che s’avanza è uno strano conflitto: sono ormai tre giorni che divampa una sorda guerra su chi ha titolo e chi non ha titolo per usare la politica per rispondere alla politica. No, non è un gioco di parole, ma di Gestalt: avete presente quel disegno che potete interpretare – a insindacabile scelta del vostro cervello – o come due profili che si fronteggiano, o un vaso da fiori?

Quello è l’effetto Gestalt: o vedi una figura o vedi l’altra. È una scelta. E così il governo tecnico in attrito con i politici genera la sua Gestalt: o stai dalla parte di chi sostiene che il governo Monti è pienamente legittimato in senso democratico; o di chi dice che il governo è legittimo, ma privo della legittimazione popolare, cosa che impone dei limiti. Sembra una questione di lana caprina, è invece cruciale.

L’altro giorno il ministro Andrea Riccardi si è fatto udire dai giornalisti mentre diceva peste e corna della politica e del segretario del Pdl Alfano che aveva fatto saltare il vertice con Monti. Poi ha deciso di non smentire ma di «contestualizzarle». Come dire: sì, è quel che penso, ma forse dovrei parlare a voce più bassa. Detto per inciso: il ministro Riccardi mi ha telefonato venerdì per garantirmi di non essere mai stato un cattolico di sinistra e meno che mai vicino a Prodi.

Ieri è scoppiata la seconda grana: essendo la Lega Nord all’opposizione frontale contro il governo, l’ex ministro dell’Interno Bobo Maroni ha attaccato il ministro degli Esteri Giulio Terzi accusandolo di aver gestito malissimo la vicenda dell’ostaggio italiano ucciso in Nigeria e ne ha chiesto le dimissioni.
Terzi ha reagito in due tempi. Nel primo è rimasto nei limiti del suo ruolo tecnico e si è difeso dicendo di aver fatto al meglio il suo dovere. Ineccepibile.

Poi però è evaso dall’angusto suo recinto tecnico e, come se fosse un politico eletto dal popolo, si è rivolto a Maroni da politico dicendo al leader leghista che avrebbe fatto meglio ad occuparsi delle vicende della Lega a Milano. Fischio per fuorigioco.
E siamo così arrivati al punto. Sono sicuro che moltissimi cittadini, diranno: e beh, che cosa c’è di male? Terzi ha ragione a dire a Maroni di pensare ai casi del suo partito. E la stessa cosa era accaduta con la vicenda Riccardi: molti cittadini, forse la maggioranza, si sono istintivamente schierati con lui convenendo che la politica fa schifo perché oggi chiunque gridi frasi del genere raccoglie applausi. Qui però non si discute della popolarità, ma della legittimazione accantonando delle reazioni viscerali e riportando al comando la ragione tornando al peccato originale del governo: la legittimazione (non la legittimità che nessuno contesta) del governo e dei suoi ministri.
Che cosa sia la legittimazione in democrazia lo sa anche un bambino: è la corrispondenza fra il mandato popolare e un governo che esprima quella volontà. Ora, esiste forse una relazione diretta fra questo governo e la volontà popolare? No, nessuna. Questo governo è a parere di molti, me incluso, necessario per fare ciò che i partiti non hanno saputo o voluto fare, dunque lo votiamo e apprezziamo i successi anche internazionali di Mario Monti.

Il che però non sposta di un millimetro la questione: un ministro che non discenda dal voto degli elettori, può ingaggiare una rissa politica con un politico usando argomenti politici? Dicevano i nativi messicani agli spagnoli: noi discendiamo dagli Incas, voi da una barca: un politico discende comunque dalle urne, per quanto imperfetta sia la legge elettorale, mentre un ministro tecnico discende soltanto da un decreto presidenziale.
Insomma: probabilmente Riccardi è stato soltanto imprudente e Terzi un po’ impulsivo, ma il problema è che sembra prender piede in questo governo la voglia non di sostituire provvisoriamente la politica, ma di scendere a rissa con la politica. L’effetto collaterale di una tale tendenza è rafforzare l’idea già pericolosamente diffusa secondo cui non soltanto la politica, ma la democrazia stessa sia ormai inutile, ed essendo costosa è anche dannosa. Si rischia di passeggiare sull’orlo del baratro.

Non vorremmo dunque che lo stile casuale di due modesti incidenti si trasformasse in una uniforme mimetica.

Di conseguenza pensiamo che forse il presidente del Consiglio, uomo la cui avvedutezza è giustamente lodata in tutto il mondo e che si considera al servizio della Repubblica, spendesse non più di dieci minuti per scrivere un manualetto per i suoi ministri segretari di Stato in cui all’articolo uno fosse scritto: ricordate nelle vostre devozioni che non siete uomini politici e dunque non siete abilitati a replicare con argomenti politici alle critiche dei politici. Articolo due: chi avesse difficoltà ad aderire a questa norma farebbe bene a tornare alla professione di origine.

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