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Le bare a Bergamo e quei segreti tra Mosca e l’ex premier Conte

Dopo l’intervento dei militari per gestire la pandemia arrivò la delegazione russa I legami tra quella task force, i servizi segreti e il famigerato veleno Novichok

Le bare a Bergamo e quei segreti tra Mosca e l’ex premier Conte

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Quattro anni fa sfilarono le bare a Bergamo. Quei segreti tra Mosca e l’ex premier Conte

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Dentro le bare di Bergamo c’è il segreto militare sui veri rapporti tra Giuseppe Conte e Vladimir Putin. Esattamente quattro anni fa i primi corpi dei bergamaschi morti di Covid sfilavano sui camion militari in direzione Emilia-Romagna per essere cremati. La pandemia si mostrava nel suo volto peggiore, l’Occidente e gli alleati iniziavano a preoccuparsi perché l’Italia sarebbe stato il cluster del virus in Europa (fonte Ue e Oms) perché avrebbe sottovalutato una minaccia Cbrn (chimico-batteriologica-radiologica-nucleare) nonostante annidi protocolli e raccomandazioni.
Anche la Russia di Vladimir Putin intuì che i suoi ottimi rapporti con l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte gli sarebbero tornati utili per capire come debellare il virus che prima o poi sarebbe sbarcato a Mosca. Si disse che bastò una telefonata tra i due, il giorno prima. E così domenica 22 marzo all’aeroporto militare di Pratica di Mare atterrano nove aerei cargo militari provenienti da Mosca e diretti a Bergamo. A bordo ci sono 104 esperti (72 militari, 28 medici e 4 infermieri) guidati dal generale Sergey Kikot, vicecomandante del reparto di Difesa chimica e batteriologica dell’esercito russo, giunti con decine di ventilatori polmonari, materiale sanitario, mezzi e laboratori, ufficialmente per aiutare l’Italia fino al fino al 9 aprile 2020 nella missione From Russia with love. Un’operazione di propaganda a costo zero, il nostro Paese si sarebbe persino accollata le spese di trasporto, vitto e alloggio. Palazzo Chigi avrebbe gestito l’operazione in piena autonomia e senza troppi scrupoli, mettendo in imbarazzo la nostra diplomazia e i nostri alleati Usa, tanto che all’aeroporto non c’è né il consigliere militare di Palazzo Chigi né l’allora ministro della Difesa ma il povero Luigi Di Maio. A rimanerci male furono anche i vertici del 7º Reggimento difesa Cbrn Cremona.

Qualche mese dopo il loro report di 11 pagine - scritto in russo e inglese dagli scienziati della task force Natalia Yu. Pshenichnaya e Aleksandr V. Semenov - fu in realtà molto ingeneroso con Conte e con la gestione della pandemia «monitorata ma non impedita», dove i medici sono «mandati al massacro» e i ritardi nelle chiusure hanno amplificato contagi e morti, altro che «scenario imprevedibile». È solo grazie al Dna di un contagiato della Bergamasca (un cittadino russo ammalatosi in Italia il 15 marzo) che la Russia avrebbe realizzato un asse con l’italiana Kedrion per le cure al plasma e soprattutto il vaccino Sputnik-V, in accordo con l’ospedale Spallanzani e l’Istituto Gamaleya di Mosca su cui a quanto ci risulta anche il Copasir avrebbe svolto un’indagine.

Cosa ci sia dietro l’accordo tra Conte e Putin è un mistero, tanto che un paio di anni fa, quando l’Italia evocò una stretta sulle sanzioni alla Russia (per molti inutili...), l’ex console russo a Milano Alexei Paramonov, con ancora al collo due onorificenze prese nel 2018 e nel 2020, minacciò di rivelarlo. Sarebbe interessante saperlo, oggi che gli occhi del mondo sono puntati su Mosca. Non tanto perché lo Sputnik fosse inutile (si disse che era efficace al 91%...) ma perché lo studio del Gamaleya era collegato al 48mo reparto militare specializzato in guerra batteriologica.

È lo stesso reparto che collabora con il Gru, i servizi segreti da cui viene Putin e che sarebbe responsabile della creazione del famigerato Novichok, usato nel 2021 per avvelenare il dissidente russo Aleksej Navalnyj, morto un mese fa nelle carceri putiniane dove era recluso. È forse questa una parte del segreto che turba i sonni di Conte?

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