Salite o discese che siano, c'è sempre un mago dei sondaggi all'origine delle entrate in campo dei grandi outsider della politica. E se per Berlusconi, nel '94, si trattava dell'estroso Gianni Pilo, per Mario Monti l'uomo chiave è un serissimo e assai quotato professore, Roberto D'Alimonte. Docente accreditatissimo con un curriculum di tutto rispetto che va dalla Cesare Alfieri di Firenze alle università americane.
È stato un incontro con lui, nei burrascosi ed incerti giorni che seguirono le dimissioni del premier tecnico, a determinare la svolta e a dare a Monti la spinta necessaria a sfidare la sorte e i tentativi di dissuaderlo che arrivavano dal Colle. Intorno al 10 dicembre, il professor D'Alimonte salì a palazzo Chigi con una cartellina sotto al braccio. Come rivelò La Stampa, in quella cartellina c'erano i risultati del primo, fatidico sondaggio: una potenzialità del 15% per l'area Monti, con la (quasi) certezza di superare la soglia dell'8% in tutte le Regioni. Questo, spiegò puntigliosamente il professor D'Alimonte all'attentissimo Monti, «a bocce ferme», senza il Professore ufficialmente in campo e senza alcun battage mediatico. Figuriamoci dopo. Fu così convincente che il giorno dopo il premier decise di fare il primo test, e si presentò a Uno Mattina sulla Rai per dare avvio alla sua operazione simpatia (è la volta del celebre aneddoto del nipote chiamato spread). Da allora, D'Alimonte ha visto crescere di giorno in giorno, nei suoi studi ad hoc per conto dei montiani, le potenzialità elettorali del Professore. «Sono rimasto colpito dalla consistenza della coalizione della Lista Monti - ha rivelato a Lilli Gruber il 3 gennaio scorso, ospite della trasmissione Otto e mezzo - circa il 23%, il che fa di Monti il secondo polo della politica italiana».
Ecco, questa è la questione chiave, quella che ha convinto Monti al grande balzo in avanti: la (quasi) certezza di arrivare secondo, e determinante per la futura maggioranza a guida Pd. Perché sarebbe una débâcle se per caso così non fosse e ad arrivare secondo fosse Berlusconi; se per caso succedesse al Professore quel che accadde a Massimo D'Alema, quando si fidò troppo dei sondaggi di Swg sui risultati delle Regionali del 2000, tanto da metterci la faccia (da premier). Col risultato che poi, quando i risultati non furono quelli attesi, dovette lasciare Palazzo Chigi.
Certo, come avverte lo stesso D'Alimonte, «i sondaggi di questi giorni vanno presi con le pinze» perché «la situazione è ancora troppo fluida». Dicono i maligni, ad esempio, che Luca di Montezemolo se ne sia andato allegramente alle Maldive, proprio al momento clou della formazione delle liste, perché quei sondaggi non lo convincono granché e - memore di D'Alema - lui la faccia evita di mettercela. Dicono anche che i vescovi, dopo l'entusiastico endorsement montiano dell'Osservatore romano stiano ricalibrando meglio il tiro per avere la certezza di trovarsi, un domani, a fianco del vincitore.
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