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Quell'aiutino del fisco a De Benedetti

L'Agenzia delle Entrate ammette: non c'è fretta di incassare 360 milioni, non c'è il rischio che l'Ingegnere scappi. Dopo 22 anni

Quell'aiutino del fisco a De Benedetti

Roma - Sono passati 486 giorni, ma non c'è fretta. Dal 28 giugno 2012 è pendente in Cassazione il ricorso del gruppo Espresso contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che lo condanna a pagare 225 milioni (359,7 milioni il computo complessivo di interessi e sanzioni al 30 giugno 2013) per il mancato versamento di imposte su plusvalenze che sarebbero state realizzate con la quotazione in Borsa di Repubblica nel 1991.

E non ha fretta di incassare - dopo 22 anni - l'Agenzia delle Entrate, che è rappresentata in giudizio presso la Quinta sezione tributaria della Cassazione dall'Avvocatura dello Stato. Quest'ultima potrebbe presentare, su istanza del proprio assistito, una richiesta di anticipazione dell'udienza. Così, giusto per non attendere i tre anni di media che impiega un ricorso a essere calendarizzato in udienza. Ma l'Agenzia diretta da Attilio Befera non intende modificare la propria policy. «Non è prassi dell'Agenzia delle Entrate richiedere procedure d'urgenza se non vi sia il fondato rischio che il patrimonio possa essere disperso», spiega il portavoce. Cioè, se il soggetto di una sanzione non hanno la possibilità di portare i propri capitali all'estero, si può tranquillamente aspettare. E poiché il gruppo Espresso ha sede a Roma e difficilmente si sposterà, nulla si muove. Un dinamismo inversamente proporzionale a quello manifestato nei confronti del contribuente medio.

Come vi abbiamo raccontato ieri sul Giornale, sul gruppo presieduto dall'ingegner Carlo De Benedetti pende la spada di Damocle di una maxisanzione per quella che l'agenzia delle Entrate considera un'«elusione fiscale» (del fascicolo fa anche parte la contestazione di un usufrutto azionario presso società estere) e che, invece, a Largo Fochetti e dintorni viene considerata «una richiesta infondata e illegittima» anche se la soccombenza in giudizio viene ritenuta possibile. Ottenuta la sospensiva dalla Commissione tributaria e presentato il ricorso in Cassazione, il gruppo Espresso non ha fretta di pagare.

In linea teorica, potrebbe essere l'Avvocatura dello Stato a suggerire al suo «cliente» di premere sull'acceleratore. Ma la linea ufficiale è quella del silenzio. «Non conosco la causa, ma il rapporto difensore-assistito con l'Agenzia delle Entrate ci impedisce di fornire qualsiasi informazione», ci dice l'avvocato Gianni De Bellis, coordinatore della I Sezione dell'Avvocatura, quella che assiste Tesoro ed Entrate.

Se De Benedetti e Befera, per motivi opposti (uno perché vuole ritardare il salasso, l'altro perché ritiene che la «preda» non possa fuggire), non hanno fretta, tocca al giudice, anzi al presidente di sezione della Cassazione decidere la priorità. «Di norma sono i presidenti a decidere, in base alla rilevanza del caso: con noi la Terza sezione è stata abbastanza veloce», racconta Achille Saletti, componente del collegio difensivo Fininvest nel ricorso contro il Lodo Mondadori (risarcimento di 541 milioni per l'Ingegnere).

«La Terza sezione civile della Cassazione - aggiunge Saletti - procede spedita, le altre lo sono meno, la Prima, ad esempio, è lentissima». La Quinta sezione tributaria, presieduta da Mario Adamo, ha un arretrato di oltre 30mila cause ed è perciò comprensibile che cerchi di assicurare tempi più o meno equi del processo a tutti quanti.

Ecco perché, con tutto quell'arretrato, in fondo non c'è tanta fretta di calendarizzare l'udienza. L'Ingegnere è forse più importante del signor Rossi?

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