Il nome sul simbolo? Meglio di no. Per le elezioni europee di maggio Renzi preferisce che i propri elettori trovino, sulle schede solo il simbolo del Pd, con al massimo la rosa (o la scritta) del Pse, tanto per richiamare la famiglia socialista europea nella quale il premier ha velocemente traghettato il partito, dopo anni di discussioni e divisioni tra l'anima ex popolare (Dc) e quella post Ds-Pds-Pci. Qualcuno gli aveva chiesto-suggerito di aggiungere il suo nome sotto il simbolo, per cercare di raggranellare più voti, auspicando un plebiscito a favore del presidente del Consiglio. Ma le elezioni europee non sono il banco di prova giusto per misurare la forza del leader. O meglio, forse è troppo presto per farlo. Più giusto, o forse più saggio (e conveniente) aspettare le politiche: lì sì che il nome del segretario-premier verrà messo. Ora no. Paura di non ottenere molti voti e, quindi, voglia non troppo dissimulata di associare la propria faccia al possibile mezzo flop, vista anche l'onda lunga della protesta anti euro che sta arrivando dall'Europa (vedi Francia)?. Di sicuro Renzi è uomo di calcolo. E, fatti due conti, questa volta esporsi con il nome potrebbe essere una mossa azzardata per lui. Meglio lasciar perdere... per ora. Poi si vedrà.
Bersani quando era segretario, per volersi differenziare dagli altri (Berlusconi in primis) aveva sempre rimarcato la propria contrarietà all'uso del nome del leader sotto al simbolo. Prima di lui, invece, Veltroni il nome ce lo aveva messo eccome nel simbolo (elezioni 2008). Anche se, c'è da sottolineare, in quel caso si votava per le politiche e, quindi, ipoteticamente agli elettori di proponeva il nome di un candidato alla guida del governo. Per le Europee il discorso è molto diverso: è il voto di opinione per antonomasia. Lo sanno tutti i leader. Lo sa anche Renzi. Che subito mette le mani avanti: "Il voto non sarà un referendum su di me e nemmeno sul governo". Sa bene, però, che non è così. Non può essere così. "Noi andremo al voto senza il mio nome nel simbolo del Pd - dice in un colloquio con La Stampa -. Rimaniamo sulla linea 'no name' che varò Bersani. Oggi è così: poi alle elezioni politiche, nel 2018, staremo a vedere. Tempo ancora ce n'è".
Eppure Renzi, nonostante lo scossone francese, ostenta moderato ottimismo: "Non credo che si tratti di una tornata elettorale difficile, drammatica per noi".
E prova a snocciolare le prove: "Il Partito democratico è forte e strutturato e credo che, al di là delle elezioni europee, nelle amministrative possa recuperare il Piemonte, l'Abruzzo, Prato e qualche altro comune". Sembra quasi che dia già per scontato l'esito delle Europee, rifugiandosi su due Regioni e sui Comuni chiamati al voto.
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