RESTA AI DOMICILIARI Continuerà a firmare il «Giornale». L'Ordine revoca la sospensione

Milano Alessandro Sallusti non è uno che mostra con facilità i suoi sentimenti. Ma ieri mattina, quando poco dopo le dieci e mezza, sbuca dall'aula al pian terreno del tribunale, il direttore del Giornale fatica a nascondere l'emozione. Nell'aula si è visto accusare dal pubblico ministero Piero Basilone di avere davvero tentato di fuggire dalla casa dove - contro la sua volontà, perché lui avrebbe voluto essere rinchiuso in carcere - stava scontando gli arresti domiciliari. Ha sentito il pm chiedere per lui una pena di sei mesi e venti giorni per tentata evasione: una pena elevata, basata sul rifiuto del pm di riconoscere le attenuanti e di attribuire qualunque valore morale al suo gesto. Ma alla fine, dopo una camera di consiglio di inusitata brevità, ha sentito il giudice Gaetano La Rocca che lo assolve con formula piena: «il fatto non sussiste», non c'è mai stato il concreto pericolo che Sallusti si desse veramente alla fuga. Ha anche sentito - ed è forse questo che ieri lo emoziona di più - revocare l'ordine di custodia che sabato 1 dicembre, subito dopo l'evasione, era andato ad aggiungersi agli arresti domiciliari. Sulla base di quell'ordine di custodia, mercoledì scorso l'Ordine dei giornalisti aveva - come impone la legge - sospeso Sallusti dalla professione. La sentenza del giudice La Rocca spazza via l'ordine di custodia e la sospensione dall'Ordine. Da oggi Sallusti torna a firmare il Giornale come direttore responsabile.
Resta, ovviamente, ai domiciliari, nella casa della sua compagna Daniela Santanchè, dove sta scontando ormai da due settimane la condanna a quattordici mesi di reclusione per diffamazione. Ma la sentenza di ieri, oltre a prendere atto di quello che Sallusti ha sempre affermato («non avevo alcuna intenzione di scappare, anzi il mio obiettivo era venire chiuso in carcere») rimuove dalla scena della vicenda il rischio di una condanna per un reato da delinquente comune, come quella per evasione, che avrebbe oggettivamente costituito un ostacolo all'ipotesi di una grazia da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sallusti non ha chiesto e non chiederà un provvedimento di clemenza dal Quirinale: ma sulla richiesta di grazia il parlamentare del Pdl, Luca D'Alessandro, ha già raccolto le firme di centottanta tra deputati e senatori di quattro partiti diversi (Pdl, Pd, Idv e Fli) e la settimana prossima la proposta partirà per il Colle. A quel punto sarà Napolitano a decidere se sanare con un suo provvedimento il caso senza precedenti di un direttore di giornale condannato al carcere senza condizionale come autore di un articolo che non ha scritto.
Alla sentenza di ieri si è arrivati sulla base di una ricostruzione dell'episodio dell'1 dicembre sostanzialmente diversa da quella che era stata fornita a botta calda. I difensori di Sallusti, Valentina Ramella e Ignazio La Russa, avevano dimostrato con un video che il giornalista non si era mai sottratto al controllo dei poliziotti che lo avevano appena arrestato, e che anzi aveva lasciato la casa seguendo un vicequestore che era uscito prima di lui. Un gesto simbolico di protesta, aveva spiegato lo stesso Sallusti al momento dell'arresto-bis. La Procura avrebbe potuto, a quel punto, chiedere essa stessa l'assoluzione.

Invece ieri in aula il pm Basilone si è limitato a modificare l'accusa da evasione a tentata evasione, e a chiedere comunque per Sallusti una condanna che (tenuto conto dello sconto di un terzo per il rito abbreviato) si avvicina al massimo della pena. Bastano dieci minuti al giudice La Rocca per scrivere la sentenza di assoluzione.

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