Conti correnti con i soldi del Pdl, macchine, la casa del Circeo. Tutto sarebbe stato legittimamente nella disponibilità di Franco Fiorito. E per questo motivo il tesoro dell’ex capogruppo del Pdl, sequestrato dalla magistratura dopo l’arresto del Batman di Anagni, dovrebbe tornare in suo possesso. Almeno questo è quanto sostengono gli avvocati Carlo Taormina ed Enrico Pavia nel ricorso con il quale hanno impugnato davanti ai giudici della Cassazione il provvedimento di sequestro preventivo dei beni emesso dalla Procura di Roma. Oltre alla villa in un parco naturale del litorale laziale, la jeep comprata per l’emergenza neve, la Bmw, la Smart, sette conti correnti italiani e quattro esteri, per un valore complessivo di un milione e 300mila euro.
Per convincere i giudici della Suprema Corte della bontà della loro tesi i due legali tornano a insistere sulla qualificazione giuridica del reato contestato all’esponente politico. Non si tratterebbe di peculato, per il quale Fiorito è stato arrestato avendo sottratto denaro dalle case del Pdl alla Regione Lazio, ma eventualmente di appropriazione indebita, reato che farebbe decadere immediatamente sia il provvedimento di arresto che quello del sequestro dei beni. Un’interpretazione fatta propria dagli stessi giudici di Cassazione in altre sentenze, compresa una delle sezioni unite, e citata dai legali nel ricorso: i gruppi consiliari regionali sono assimilabili ai partiti politici «cui va riconosciuta la qualità di soggetti privati». Se così fosse il peculato non starebbe in piedi e nemmeno l’impostazione accusatoria della Procura di Roma.
Nell’atto i due avvocati calcano la mano sulle (presunte) responsabilità di altri nella vicenda, sottolineando «l’assenza di investigazione sugli strapoteri dell’Ufficio di Presidenza della Regione Lazio in relazione ai quali è incontestabile la dissipazione di denaro pubblico, sottraendolo ad altre voci di bilancio».
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Per i legali dell’ex capogruppo del Pdl sarebbe sbagliata la qualificazione giuridica del reato: non si tratterebbe di peculato, ma di appropriazione indebita perché i partiti politici sono soggetti privati. Nell’atto si sottolinea l’«assenza di investigazione sugli strapoteri dell’Ufficio di Presidenza»
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