L'elogio della decrescita sulla rete ammiraglia di Mediaset: chiamatelo effetto spiazzamento. Abbiamo sbagliato tasto? Celentano su Canale 5: se qualcuno ce l'avesse detto un anno fa l'avremmo preso per pazzo. Ma Todo cambia. Rock Economy comincia con un sermone, letto-urlato a due voci, nella panoramica sulla città di Verona. Arriva il messia e intona Svalutation sul palco bombardato da fasci di luce. A destra l'orchestra diretta da Fio Zanotti, a sinistra s'intravede il solito bar, ritrovo di comparse, corpo di ballo, coristi. Bisogna scaldare il pubblico dell'Arena stracolma. Niente di meglio che un rock and roll in simil-inglese (Rip It Up). Le telecamere scarrellano fin troppo sul pubblico entusiasta per trasmettere l'emozione dell'evento e inquadra i volti noti in platea (Paolo Bonolis, Mogol, AlBano, D'Alessio e Tatangelo). Celentano vuole stupire con le sue canzoni, una dietro l'altra. Ecco Si è spento il sole, La cumbia di chi cambia scritta da Jovanotti, Io non so parlar d'amore dedicata allo scomparso Gianni Bella. Poi Io sono un uomo libero, «canzone difficile, allora mi siedo a cantarla», spiega Adriano che non ha timore a mettere in scena anche i suoi 74 anni. Poi L'artigiano dell'81, col famoso «ministro dei soldi degli altri ora sta parlando in tv...».
Alla vigilia di quello che, con ogni probabilità, sarà l'ultimo grande evento pubblico ordito da Adriano Celentano, ci si chiedeva se avrebbe prevalso la «narrazione» musicale o la telepredica. Autobiografia in musica o testamento apocalittico con il ben noto marchio di fabbrica, anticipato anche nel promo del videomaker Woodkid? E l'interrogativo, sempre tenendo presente che di canzonette si tratta, era tutt'altro che peregrino. Primato dell'etica o primato dell'estetica? Tanto più nell'inedita cornice della tv berlusconiana, frequente bersaglio delle scomuniche di Adriano. Dopo le deflagrazioni di RockPolitik, era il 2005, le due serate nel tempio della lirica, programmate in giorni consecutivi come fossero una miniserie, davano soprattutto l'idea del megaconcerto live. Ma c'era quel titolo, Rock Economy, a mettere in guardia.
Ma le canzoni del Molleggiato parlano da sole e non hanno bisogno di troppi monologhi esplicativi. Di sermoni che le rinforzino. E dunque, stavolta si può esser grati a Celentano, per aver fatto parlare le sue canzoni. Vi stupirò con la mia musica, i miei testi. Quasi la colonna sonora di un'epoca e di un Paese. Accontenta Bonolis con Pregherò. Va a duettare con Zanotti. Interrompe un abbozzo di monologo e viene il dubbio che non ce la faccia. Ma poi riprende con Il ragazzo della via Gluck in versione acustica con il pubblico che lo accompagna a una sola voce. Dopo le forsennate invettive dell'ultimo Sanremo è come se, pur senza rinunciare alle sue convinzioni ecologiste e anarchicheggianti, il Molleggiato avesse voluto riconciliarsi con il suo pubblico che non lo ascoltava live da diciotto anni. Canzoni a pieno ritmo, contrappuntate da quella «decrescita». L'Economy del titolo è un suggerimento moraleggiante, delegato alla tavola rotonda con l'economista Jean Paul Fitoussi e i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Improvvisata in tutti i sensi. E fin troppo pedante: crescita, decrescita, Pil, debito pubblico. Parole, troppe, che interrompono la magia. Arriva qualche fischio. Fortuna che arriva anche Gianni Morandi per duettare in Scende la pioggia. E poi dare lo stop alla lezioncina anti-progresso: «Adriano questo è un discorso lungo». E tagliare corto: «La bellezza ci salverà».
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