Il ritratto

RomaUn democristiano di buona scuola della migliore tradizione siciliana. È questa la definizione che di Francesco Saverio Romano danno coloro che hanno condiviso con lui il percorso politico. D’altra parte è lo stesso neo ministro dell’Agricoltura a rivendicare con fierezza la sua appartenenza più profonda, definendosi un dc «della prima ora, nel cuore e nella mente», immune al ribaltamento semantico di chi ha trasformato un aggettivo un tempo glorioso in un insulto.
Per il suo giorno più importante indossa l’abito delle grandi occasioni. In grigio, elegantissimo, Romano, 46 anni, avvocato penalista, si presenta al Quirinale per giurare nelle mani del Capo dello Stato. Accanto a lui la moglie e il primo dei suoi tre figli, avviato come il padre verso la giurisprudenza. La fotografia di una vita offuscata, però, da una nota in cui il Colle parla di «riserve politico-istituzionali» dovute alla sua situazione giudiziaria. Un procedimento per il quale è stata avanzata una richiesta di archiviazione e che induce Vittorio Sgarbi a denunciare la barbarie di una «presunzione di innocenza sostituita da una presunzione di colpevolezza».
Il neo-ministro, però, non ci sta a farsi guastare la festa e a lasciare che l’emozione ben mascherata di un grande giorno trascolori in amarezza. «Non ha mai preso neanche una contravvenzione in vita sua» sottolineano nel suo staff. «Anche perché non guida», aggiungono con un sorriso. Chi lo conosce bene lo definisce «un pragmatico-calcolatore con l’anima», capace di improvvisi slanci di affetto e generosità. Collezionista di statuine di avvocati in porcellana, esperto di cucina e di vini d’annata, tifoso «praticante» del Palermo, non è uomo che tradisce le amicizie. Per questo rivendica il sentimento che tuttora lo lega a Giuseppe Drago e Totò Cuffaro, nonostante le loro vicissitudini giudiziarie.
Romano è in politica fin da ragazzino. Nato il 24 dicembre 1964 a Palermo, a 15 anni viene introdotto dallo zio nella vita della Dc siciliana. Sceglie da subito la corrente di Calogero Mannino, tra i cui figliocci figurano personaggi come lo stesso Cuffaro, Salvatore Cardinale e Raffaele Lombardo. Il suo maggiore successo è quello delle Europee del 2009 quando conquista ben 110.403 voti e diventa il candidato più votato dell’Udc, una casa politica che abbandona denunciandone gli ammiccamenti a sinistra e l’appoggio al Lombardo IV. Da quel momento esce fuori la sua anima di tessitore. Una caratteristica che lo porta a proporsi come pivot nel progetto di costruzione della terza gamba della maggioranza. Un successo coronato dalla nomina al ministero dell’Agricoltura, dicastero guidato negli anni ’80 proprio da Mannino.

La chiusura di un cerchio per il ragazzo della Dc siciliana, ora ministro sotto osservazione quirinalizia. Una condizione anomala. Ma lui guarda avanti e profetizza con un sorriso: «Tranquilli, non vi libererete di me facilmente».

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