U n volo di otto piani giù dal palazzone deserto, nella penombra di martedì sera, lontano da tutti, lui che era il politico più amato di Bologna, il più votato, quello che ha celebrato più matrimoni civili, ha stretto più mani, che aiutava chiunque glielo chiedesse e non saltava una partita allo stadio. Una febbre di vita pervadeva Maurizio Cevenini, il «Cev», un uomo solare quanto irrequieto, morto ieri suicida.
Si è gettato a 58 anni da un ufficio del consiglio regionale, luogo simbolo di quella politica cui ha dedicato la vita. Era entrato martedì pomeriggio per una riunione e non ne è uscito. La sua auto, una Smart verniciata con i colori del Bologna calcio e traboccante di gagliardetti rossoblù, è stata rimorchiata ieri mattina dal parcheggio sotto i falansteri di cemento progettati da Kenzo Tange. La sera era atteso da un club di tifosi per un appuntamento dei suoi, una tombola. Non ne perdeva una, anche il Pd bisognoso di soldi lo sfruttava. Stavolta non cè andato.
Il «Cev» è morto con il suo triste segreto nel cuore, nella sua angosciosa solitudine, e una città da ieri si domanda come possa togliersi la vita uno che la vita lamava, che voleva bene alla gente e non negava un favore al peggior nemico. Era depresso, dicono. La depressione è una malattia che chiude ogni discorso. Depresso, dimagrito, pensieroso, gravato dai postumi di quellischemia che un anno e mezzo fa gli aveva impedito di coronare il sogno della vita: diventare sindaco. Era anche un po trascurato dal suo partito, il Pd, il quale aveva ostacolato la sua corsa a Palazzo DAccursio salvo poi candidarlo come capolista per garantirsi il suo inesauribile serbatoio di voti: 19mila preferenze nel 2010 per il consiglio regionale, 13mila un anno dopo nella sola Bologna del dopo-Delbono.
Nella sua seconda casa nessuno vuol credere al suicidio. Il bar Ciccio si trova lungo via San Mamolo, la strada verso i colli che porta alla clinica Villa Alba dove il «Cev», figlio di un barbiere, era entrato da centralinista e di cui era diventato amministratore. È un concentrato di memorie rosse, e anche per questo il «Cev» si trovava bene. Un vecchio circolo Arci accanto a una sezione del Pd, sotto lappartamento in cui abitava Giuseppe Dozza, grande sindaco della Bologna anni 60. Nel 1996 Romano Prodi, che divenne deputato proprio nel collegio del quartiere Santo Stefano, vi piantò un alberello dulivo che ancora resiste.
Da Ciccio il «Cev» si fermava appena possibile per un caffè, un piatto di tagliatelle o semplicemente per scrivere qualcosa, seduto sempre allo stesso tavolino, sotto la maglia rossoblù con il suo nome e il numero 5 con cui giocava nella nazionale dei consiglieri comunali. Giocava in difesa, da libero, un ruolo che era il suo programma di vita.
«Nessuno può credere al suicidio e anche a me sembra impossibile», dice Ciccio, che di nome fa Roberto e di cognome Cevenini, «ma nessuna parentela». Forse è lunico di tutta Bologna che lo chiama Maurizio e non «il «Cev»: «Lo conosco da ragazzo, amava tutte le cose belle della vita, il calcio, le donne, la politica, la musica. Non può averle lasciate così».
Non ci credono neppure le 4.500 coppie bolognesi che il «Cev» ha unito in matrimonio in comune in tanti anni di amministrazione. Le sue cerimonie erano veri happening, con canzonette, battute, foto interminabili. Quelle foto che da ieri traboccano su Facebook. Cevenini aveva tre profili, tanti erano gli amici. E ognuno ha un ricordo e un moto dincredulità.
Non ci crede la politica che pure, dietro la facciata, non scoppiava damore per lui. Compagni di partito e avversari piangevano tutti ieri mattina, sul piazzale che divide la regione Emilia-Romagna dalla fiera. Non ci credono le migliaia di bolognesi che lo conoscevano, i personaggi dello sport e dello spettacolo che frequentava.
Non ci credono i familiari, la moglie Rossella e la figlia Federica. Un uomo così vitale, che ha unito così tante famiglie, non era riuscito a far funzionare troppo bene la sua. La figlia, 28 anni, fisioterapista, gli si era riavvicinata durante la convalescenza dopo lischemia che nellottobre 2010 aveva spezzato la corsa verso il trionfo alle primarie Pd.
In clinica padre e figlia avevano scritto insieme Bologna nel cuore, la storia di Cevenini. Con quel particolare della trombosi che laveva colpito nel 1994. Già allora, quando aveva 40 anni, i medici gli avevano consigliato di rallentare i ritmi. Troppo intensa la vita del «Cev». Glielavevano ripetuto anche un anno e mezzo fa.
Aveva anche favorito la riapertura del dialogo tra i suoi genitori. Laltra sera, per tutta la notte, hanno fatto squillare i telefonini del «Cev», quello personale e quello della regione. Invano.
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