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Da rottamatore a mediatore ora Renzi ha bisogno di tutti

Dismessi i toni trionfalistici, il premier ammette che per fare le riforme istituzionali ascolterà Berlusconi, Grillo e pure la minoranza del Pd

Da rottamatore a mediatore ora Renzi ha bisogno di tutti

«Vogliono prendersi una settimana in più perché hanno paura che io mi avvantaggi elettoralmente? Che se la prendano pure...». È un Matteo Renzi insolitamente diplomatico e generoso di concessioni, quello che - all'indomani del summit al Quirinale per salvare le riforme - si affaccia agli schermi tv postprandiali. E che si morde più volte la lingua per trattenere quelle battutacce taglienti che - si vede - gli verrebbero spontanee quando parla di avversari e anche compagni di partito. Ma Renzi sa di aver subito un primo stop nella sua corsa da parte di quella che chiama «la palude romana», e per far ripartire il treno deve fare, come gli ha ripetuto anche Napolitano, buon viso a cattivo gioco, ed evitare gli «ultimatum».
Ospite di Lucia Annunziata su Rai3, il premier offre dunque il (piccolo) compromesso che dovrebbe mettere a tacere gli strenui difensori del Senato elettivo annidati anche nelle file Pd: «Su questo punto troveremo una mediazione – ha spiegato – Oggi la linea di fondo è che i consiglieri regionali individuano al loro interno quale consigliere va al Senato. Può essere un punto di mediazione, a me basta che i consiglieri non immaginino di stare dalla mattina alla sera in Senato». Niente elezione diretta: quella, spiega, la reclamano per una sola ragione: «per continuare a produrre ceto politico». Ma d un'elezione «ad hoc», nelle liste dei consiglieri regionali, di quelli da delegare a Roma si può pensare, purché senza costi aggiuntivi. «Le riforme si fanno ascoltando tutti, Berlusconi e Grillo e pure la minoranza Pd, che abbiamo già ascoltato tante volte», dice, lasciando trapelare giusto una punta di ironia. Quanto ai tempi, «non mi impicco a una data», la speranza è sempre quella di far dare un primo ok alla riforma prima del voto, ma se gli altri, Berlusconi in primis, hanno timore di concedergli un vantaggio pazienza, «se sarà il 5 giugno anziché il 25 maggio cambia poco». L'importante è che «i senatori capiscano l'urgenza di una riforma attesa da 30 anni».

A Palazzo Madama la presidente della commissione Anna Finocchiaro, in sinergia con il ministro Maria Elena Boschi, sta già lavorando al nuovo testo base che accoglierà il «compromesso» offerto da Renzi, sulla base di suggerimenti arrivati da più parti, e che martedì dovrà avere l'ok definitivo del gruppo Pd nell'assemblea convocata dallo stesso premier. Il primo a proporre l'elezione dei futuri senatori nelle liste dei consiglieri regionali (che restano a numero invariato) era stato il lettiano Francesco Russo, che ieri era soddisfatto del «grande passo avanti» e assai ottimista sul futuro: «Siamo vicini al traguardo: i dissidenti Pd non hanno argomenti per dire no anche a un senato arricchito di competenze e con eletti ad hoc. E se si ricompatta il Pd, magicamente scompariranno anche i mal di pancia di Ncd e Scelta civica, e la stessa Fi avrà difficoltà a tirarsi indietro». All'assemblea del gruppo Pd, domani, Renzi si presenterà con una sorpresina destinata - con malcelato sense of humour - a mettere spalle al muro la fronda di sinistra: un testo del 1981 di Enrico Berlinguer, nume tutelare dei nostalgici post Pci, per il superamento del bicameralismo perfetto. L'arma perfetta per far deporre le armi a Vannino Chiti e ai suoi prodi senatori, se non bastassero le tirate d'orecchie che anche il capo dello Stato si è impegnato a distribuire loro. Con un messaggio chiaro ai renitenti alla riforme, che viene così sintetizzato da un senatore Pd: «Siamo in guerra con

html">Beppe Grillo, a questo punto chi si mette di traverso è un disertore».

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