Sarà una Telecampagna nervosa, concitata e con molti colpi di scena. Il segnale è chiaro: un palinsesto politico così denso non si ricorda. La stagione inusuale e i tempi stretti costringono i candidati a comunicare attraverso il più nazionalpopolare degli elettrodomestici. Queste condizioni valgono per tutti i contendenti, Monti, Berlusconi e Bersani (Grillo ha scelto il web). Poi ci sono le varianti individuali che rendono ancor più centrale la televisione. Nel caso del premier uscente, in assenza di un partito e di una candidatura diretta, l'unica campagna elettorale è una Telecampagna. La tv è il mezzo esclusivo per parlare alla «società civile», realtà evocata a sorpresa nell'intervista a Lucia Annunziata, per conquistare i consensi alla sua agenda, piattaforma della candidatura. Dunque, per Monti militanza tendente allo zero, se si eccettua quella dei partitini centristi, e comunicazione preponderante.
Berlusconi invece un partito ce l'ha, seppur liquido. Ma per lui la televisione è il media elettivo. Soprattutto, è lo strumento della rimonta. Nessuno sa usarlo come lui, nessuno si sente altrettanto a proprio agio davanti alle telecamere. La sua campagna personale sarà nei talk show, epocale l'ospitata chez Michele Santoro. Ma poi ci sarà anche il lavoro del Pdl e degli alleati. Infine, Bersani: il meno mediatico dei tre leader è il più incline al lavoro sul territorio grazie a un partito presente soprattutto in alcune Regioni. In sintesi, Monti è competenza, Bersani apparato, Berlusconi carisma. Da qui al 24 febbraio sarà interessante seguire la metrica, le formule e il linguaggio dei competitori. Ma già ieri si sono palesate alcune forti differenze.
La comunicazione del premier uscente è fredda, geometrica, nordeuropea, tecnocratica, deideologizzata ma sorniona. Da bocconiano. Per dire, «sbigottimento», il termine usato nei confronti dell'oscillazione di giudizi di Berlusconi sul suo operato, «è un termine tecnico». Monti parla agli elettori più colti e informati. Invece di discesa propone «salita in campo» perché preferisce un'idea «elevata della politica». Puntiglioso ma piuttosto sussiegoso e compreso di sé, primo della classe, sostiene il primato dei contenuti su quello dei leader. La sua agenda è «erga omnes» come le encicliche papali («Anche i contratti di lavoro sono erga omnes», ha corretto l'Annunziata). In sostanza, ieri ha detto: non posso candidarmi direttamente, candido la mia agenda, votatela e fatemi premier, mi accorderò con Bersani senza Vendola e terrò fuori Berlusconi, bersaglio esclusivo della mia Telecampagna.
Di tutt'altro tipo la comunicazione del Cavaliere. Lui incarna la fascinazione, il sogno di un futuro migliore a portata di mano. Mira a conquistare il centro della scena. Per questo invade la tv. Per lui la miglior difesa è l'attacco. Si rivolge alla pancia degli italiani, a coloro che amano prima di tutto la concretezza e le risposte schiette. «Per noi la casa è sacra. Nel primo consiglio dei ministri toglieremo l'Imu e sostituiremo le entrate che ne derivano tassando i giochi, l'alcol, le sigarette».
A differenza di Monti, Berlusconi tende a scaldare, o surriscaldare, il pubblico. Il momento di frizione con Massimo Giletti che l'ospitava con il fantasma di Barbara D'Urso in testa, è stato un messaggio al pubblico di Raiuno. Il Cavaliere aveva appena finito di dire che c'è stata «una congiura politica, finanziaria e mediatica». E incalzandolo senza farlo terminare il suo ragionamento, anche Giletti ne faceva parte. Un messaggio che può attrarre qualche indeciso, ma che soprattutto consolida le convinzioni di chi già parteggia per lui.
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