RomaAlla fine dell'ultima delle riunioni plenarie, tutti estenuati e scontenti. Ore e ore di tentativi, tecnicismi, tira-e-molla. Monti come sempre il meno loquace, Casini, come sempre, il più inquieto sulla sedia. Le ha tentate tutte, il leader dell'Udc, prima di cedere. Con Fini di supporto, ma spesso apparso assai intimidito dal trascurabilissimo peso del suo Fli.
Ottenere i tre punti, il risultato pieno, era impresa improba. Tanto che i collaboratori più stretti di Casini parlano del risultato «meno svantaggioso per tutti». Una specie di sconfitta a tavolino. Come usufruire del «traino di Monti», dopo aver basato la politica di un intero anno sul suo nome e sul suo «bis»? La regola del Porcellum impediva qualsiasi riferimento sui loghi, dunque l'unica soluzione praticabile era la lista unica anche alla Camera. Ma il frenetico capo dell'Udc avrebbe rinunciato allo Scudocrociato solo in cambio di una posizione dominante. «Va bene, la facciamo - avrebbe sbottato a un certo punto il ministro Riccardi - Cinquanta per cento dei candidati a noi, cinquanta a te e Fini. Amen». «Cinquanta? Ragassi, siam matti? Ma questi qui della società civile non sanno neppure dove si trovano. Noi abbiamo un partito radicato, un'organizzazione... Settanta-ottanta, almeno!».
In quel preciso istante, dicono, è nata la lista «Scelta civica con Monti per l'Italia». Il Prof si è riservato una decisione, ma è apparso chiaro a tutti lo scontento dell'accademico. Avrebbe fatto di testa sua, come sempre, considerato che è lui l'unico elemento di novità in grado di sperare in una buona risposta dagli elettori. Uno stato d'animo infastidito apparso evidente anche quando Monti è comparso nella trasmissione della Gruber su La7: «Non c'è una lista buona e due bad company, è solo la risultante ahimé molto sofferta di questo anno...». Abbottonatissimo sui nomi dei candidati, in particolare quello di Frattini, in quanto, ha detto, «non mi pare una questione che susciti curiosità mondiale».
La questione delle regole apre una serie di problemi alle due liste di «professionisti della politica». Dall'Udc trapela che Cesa (nel tondo) sarà sicuramente della partita, quindi ha vinto il braccio di ferro che lo opponeva a Casini. La prescrizione di un suo carico penale lo metterebbe al riparo dalla regola dell'incandidabilità per condanne e, avendo solo sette anni di legislatura, non dovrebbe essere escluso per il limite all'attività parlamentare. Per Buttiglione sarebbe possibile una delle due deroghe (l'altra sarà per Casini), ma non è detto. Cercheranno di piazzarlo nella ressa per il Senato e potrebbe finire sotto la mannaia di Bondi.
Che fine faranno invece i «transfughi» di Pdl e Pd? Ringraziamenti di Monti e poca ciccia: l'Udc fa sapere che non intende «ospitare» nessuno. Per il Fli neppure se ne parla: molti non sono stati teneri con Fini, dopo l'uscita dal Pdl. L'unico spiraglio aperto è quello del Senato, come ha confermato Monti in tv. Nel rifugio peccatorum di Palazzo Madama, l'unico che sbandiera la poltrona è il professor Ichino, cui l'ha promessa Monti in persona. I piddini dei Popolari democratici di D'Ubaldo ora tremano. Lo scoramento invece s'è diffuso tra gli ex Pdl: fuori Cazzola e forse Frattini (Monti si spenderebbe per il posto alla Nato cui aspira), fuori anche molti della pattuglia Italia libera di Isabella Bertolini. Potrebbe farcela in extremis Alfredo Mantovano.
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