Ingrid Salvatore, lei insegna Filosofia politica all’università di Salerno e ha scritto Agency e identità e Teoria femminista e critica.
Che cosa intende per «totalitarismo femminista»?
«È la necessità di una “repubblica delle donne” come conseguenza dell’oppressione sessuale, in cui le donne, una volta separate da padri, fratelli, compagni, mariti, potessero rieducarsi attraverso l’autocoscienza, trovando la loro vera identità. Una cosa da far tremare».
Dunque le donne sarebbero oppresse, ma alcune più illuminate delle altre.
«Il problema è che se l’oppressione a cui le donne sono soggette è così penetrante da formare la loro stessa identità, allora le donne si illudono di avere convinzioni e preferenze, ma esprimono in realtà solo quello che sono state indotte a credere e a volere. Perché prenderlo sul serio?».
Una scollatura è segno di emancipazione o di sottomissione?
«La tesi è che il profluvio di scollature esprime il significato sociale delle donne, il modo in cui le donne sono socialmente concepite o rappresentate. Ma esiste un significato sociale delle donne?».
Lo chiedo a lei.
«Se le ballerine scosciate in televisione ci rappresentano tutte, questo vuol dire che noi stesse ci vediamo così. Se molte di noi non si vedono così, come pare, allora quello che le ballerine fanno è solo quello che alcune donne fanno».
Ha fatto discutere la candidatura al Cda Rai di Lorella Zanardo, autrice del documentario contro l’esibizione del corpo femminile.
«Il documentario ben esprime quello che ho appena detto. Ma, al di là dell’infernale ammasso di carni che ci viene presentato, la tesi è che alcune donne fanno delle cose che altre donne trovano sbagliate, assurde, autolesionistiche, disdicevoli. E allora?».
Davvero possiamo credere che le donne si spoglino perché «costrette»?
«Non so se siano costrette. Quello che non sta in piedi è la macchina argomentativa che gira nella tesi femminista: dal momento che si spogliano è evidente che sono oppresse. Vale lo stesso con la pornografia e la prostituzione. Chi dice che sono oppresse? Un buon punto di partenza mi pare essere questo: sentiamo che ne pensano le presunte oppresse».
Rubygate. Decine di ragazze sono state tirate in ballo in un processo mediatico senza essere imputate. I giudici le hanno qualificate d’ufficio come «persone offese» ma molte di loro non si sentono affatto vittime. Sono state spiate e pedinate senza alcun riguardo. Autorevoli femministe le hanno additate nelle piazze come cattivo esempio.
«I “cattivi esempi” hanno sempre avuto la mia simpatia. È un fatto generazionale. Come molte ho tifato spassionatamente per Bocca di rosa contro le comari del paesino. Ma qui il femminismo non c’entra niente, semmai il garantismo. Essere garantisti dovrebbe essere naturale come respirare».
Se alcune donne additano altre come cattivo esempio per i loro costumi di vita e ne fanno feticcio polemico nel corso di manifestazioni pubbliche in nome del femminismo, il femminismo c’entra eccome.
«Una volta venuto meno il ruolo dell’intellettuale come critico sociale ci si è ritrovati in mano un moralismo parruccone con inclinazioni giustizialiste in cui “correre dal proprio giudice” – cito Di Pietro - come si andava una volta dal confessore sembra una cosa normale. Purtroppo, molto femminismo non è sfuggito alla trappola».
Può esistere un femminismo liberale contro ogni stereotipo?
«Penso di sì. A condizione di riconoscere che il femminismo è in primo luogo un movimento di emancipazione, che si colloca nel liberalismo e le cui richieste sono parità di accesso al lavoro e all’istruzione, eguale trattamento, rispetto per il lavoro di cura, in famiglia e nell’organizzazione del lavoro. Fondamentalmente diritti».
Compreso il diritto di vivere la propria vita privata come ci pare e di non essere sputtanate per i nostri costumi di vita.
Non crede?
«Le donne sono padrone del proprio corpo. È singolare che non tutti lo ricordino quando si tratta di pillola abortiva e di procreazione medicalmente assistita...»
La Consulta dice che la 194 non si tocca.
«Per fortuna».
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