Federica ha messo nel beauty case la maschera per il viso al cetriolo che non ha mai tempo di «lasciare in posa» e i tappi per le orecchie che a casa non può permettersi perché non sentirebbe i bambini che di notte la chiamano. Ha deciso di portare anche quall'abito sottoveste fucsia comprato a una svendita ormai un anno fa. Avrebbe sempre voluto indossarlo per un fine settimana romantico con il marito, ma poi, prima Marco si è preso la varicella, poi Greta ha messo i denti, poi sua suocera è andata a stare da loro per qualche mese perché si era rotta il femore. Il fine settimana romantico non è mai arrivato e sull'abito sottoveste c'è ancora il cartellino. Ma adesso che «deve» partire per un viaggio di «lavoro»...
Vittoria ha messo in valigia i sette libri che giacciono sul suo comodino intonsi. Oddio, intonsi... Sulla copertina dell'ultimo c'è una gigantesca macchia di caffè: risale a quindici giorni fa, quando Vittoria, che si era riaccucciata a letto dopo aver accompagnato la figlia a scuola, aveva iniziato a lavorare al computer, ma era in ritardo, nervosa, febbricitante e doveva rispettare una scadenza. La sua vita non ha nulla del romanzo, ma giura, adesso, di volerne almeno leggere uno al giorno. Paola ha portato i rossetti nuovi, le scarpe da jogging, l'agenda con i numeri di telefono di tutti i suoi ex. Però poi in valigia ha messo anche un magliione del suo bambino perchè sa di lui, e il pupazzo di pezza ormai liso e malconcio che si augura di riuscire a trovare identico nel negozio di giocattoli della Quinta strada a New York.
Una settimana tra sole donne, solo mamme (lavoratrici, single, sposate o appaiate in qualche modo) per un aggiornamento su come le blogger di professione possono sopravvirere in un mondo in cui ormai tutti hanno un blog; oppure sette giorni fitti-fitti di yoga dopo i quali verrà anche assegnato un patentino da istruttrice; oppure un corso imperdibile d'aggiornamento per aspiranti stiliste. Certo, partecipare costa un pochino: l'iscrizione, l'albergo, i voli aerei (la maggior parte di queste iniziative sono ancora solo americane) ma ne vale la pena. Ovviamente non è il corso, in realtà, non è neppure la voglia di aggiornarsi e non è nemmeno il patentino da istruttrice di yoga ad attrarre Federica, Vittoria, Paola e tutte le donne come loro. Il bello di questi viaggi è la giustificazione che offrono: di allontanarsi da casa per un motivo.
In America, i viaggi di lavoro per mamme sono iniziati ormai quindici anni fa. Prima poche aziende, poche centinaia di adesioni nelle solite mete, poi un boom formidabile con migliaia di destinazioni e di elaborate «scuse», e sponsor che sgomitano per mettere i loro marchi su cappellini, peluche, bandierine e su tutti gli altri gadget dei quali le mamme di solito si «ammazzano», per avere qualcosa con cui risarcire figli e mariti della loro assenza. Perché più cose si portano a casa, meno si è mancate da casa. Il business di queste liberatorie trasferte è fiorente (in Usa una settimana costa tra i 250 e i 450 dollari, voli e alberghi esclusi) perché le le madri hanno bisogno di una giustificazione per allontanarsi da tutto: e questi viaggi sono in grado di fornirgliela. Quindi le aziende diventano fantasiose (inventano corsi, aggiornamenti, stage, full immersion), gli alberghi si attrezzano (via i cartoni animati dalle tv, dentro i superalcolici e le trasgressive schifezze alimentari nei frigo bar), le compagnie aeree le coccolano (sconti, cuscini, massaggi nelle aree d'attesa). Mamma ha preso l'aereo. E per una settimana non torna.
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