C'erano una volta i furbetti del saltello da una compagnia telefonica all'altra. Professionisti dello studio accurato delle varie offerte, provvisti di molto tempo libero o, se preferite, di grande dedizione e una buona dose di astuzia: valutavano tariffe e costi, comunicavano la decisione di passare a un altro gestore, in attesa che quello di origine, per non perdere il cliente, intervenisse con una proposta dell'ultima ora, molto più conveniente.
Ora, se fate parte di quella mitica categoria ve ne sarete già accorti, e se invece non siete del club consolatevi: «questi giochini non funzionano più», mi dice chiaro e tondo un commesso in un punto vendita della compagnia Tre. «Noi facciamo offerte periodiche ai nostri clienti, variabili a seconda del tipo di contratto, non ci attiviamo se veniamo a sapere che un cliente sta per andare via. Le promozioni vengono fatte in ogni caso», aggiunge con tono da abile venditore.
Da quando c'è la portabilità del numero è venuto meno anche l'ultimo ostacolo che le compagnie usavano come strumento di dissuasione al cambio di gestore. Ora, se volete spostarvi su un altro, nessuno vi trattiene. «La forma mentis è cambiata», commenta Marco Bulfon, esperto di Tlc per Altroconsumo, «anche perché ormai sono di più gli operatori, e si trovano ovunque, pure al supermercato e alle Poste».
Ma abbandonare un gestore per l'altro conviene? Ovviamente dipende dalle esigenze di ciascuno, eppure a guardare bene costi e servizi l'impressione è che tra i vari operatori cambi poco. «Da circa un anno la tendenza che si rileva è a cambiare meno operatore, perché le differenze vanno assottigliandosi e i consumatori lo hanno capito», spiega Daniela Rao, del centro di ricerche di mercato IDC. Che aggiunge: «Il rallentamento nei passaggi da un gestore all'altro è inversamente proporzionale alla guerra dei prezzi: quando quest'ultima diminuisce, aumenta la tendenza a restare con chi ci si trova già».
Oggi le compagnie la guerra non la fanno tanto su tariffe e promozioni, «perché il mercato italiano è particolarmente device centric, cioè molto sensibile sull'aspetto dello smartphone». In altre parole, se cambiamo compagnia lo facciamo prevalentemente spinti dallo smartphone «in regalo». Virgolette d'obbligo, perché in realtà l'oggetto del desiderio lo paghiamo a rate. Qualche esempio: per un Samsung Galaxy S4 mini con la compagnia telefonica 3 si pagano 15 euro al mese - comprensivi di 400 sms, 400 minuti di chiamate e 2 GB di traffico internet - per 30 mesi. Fanno 450 euro. Per lo stesso modello, con Vodafone, si spendono 45 euro per 24 mesi, cioè 1080 euro. Sembra di più, ma qui il pacchetto comprende, oltre ai 2GB di collegamento alla Rete, anche telefonate e sms illimitati. Alle stesse condizioni, con identico smartphone, Wind chiede 29 euro al mese e 5,16 di tasse: 875 euro nei 30 mesi in cui il nuovo cliente è vincolato al contratto. Cui bisogna aggiungere 210 euro una tantum di «deposito cauzionale, che vengono riaccreditati nei successivi 6 conti telefonici», spiega un'operatrice.
Non è comunque tanto, se si pensa che oltre al telefono c'è il servizio. La vera mazzata, semmai, arriva se decidete di recedere prima della scadenza pattuita: in questo caso non solo si deve pagare in un'unica soluzione la differenza per tenersi lo smartphone, ma, avverte Bulfon, «alcune compagnie prevedono che si paghi anche la parte restante della tariffa.
Twitter @giulianadevivo
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.