Roma - Dall’evocazione del «metodo Bankitalia», all’investitura come presidente della Rai di Anna Maria Tarantola, attuale vicedirettore di Palazzo Koch. Mario Monti esce dall’angolo e parte al contrattacco, piazzando un banchiere alla guida di Viale Mazzini, una personalità dall’ottimo curriculum ma priva di qualsiasi esperienza nel campo radiotelevisivo.
Il blitz accende i dubbi e le perplessità dei partiti sia sul metodo che sul merito della nomina. Se da una parte, infatti, Monti ha forzato la legge indicando in anticipo Luigi Gubitosi come direttore generale non attendendo il voto del cda-dall’altra ha scelto di puntare tutto su una «aliena»che avrà come principale missione quella di lanciare una offensiva contro l’evasione da canone, promuovere una riorganizzazione aziendale (i direttori che rispondono al dg sono più di cinquanta) e mettere mano al bilancio. Sotto voce c’è anche chi fa notare come questa nomina dimostri il livello di «doppiopesismo» riservato a dirigenti e candidati, a secondo della loro provenienza. Non è, infatti, passato inosservato come quasi nessuno abbia citato il fatto che Anna Maria Tarantola sia stata iscritta nel registro degli indagati da parte della Procura di Trani con l’accusa di non aver sanzionato il gruppo Intesa per la diffusione di prodotti finanziari derivati su cui si sono scottati le mani circa 200 imprenditori pugliesi. Una meritevole prova di garantismo, se non fosse che uguale trattamento non venne riservato a un’altra indagine della stessa Procuraquando furono tirati in ballo per presunte pressioni ai danni della trasmissione Annozero, con tanto di intercettazioni finite sulle prima pagine di tutti i giornali, Silvio Berlusconi, Augusto Minzolini e l’ex commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi.
A questo punto il neo-presidente dovrà passare attraverso le forche caudine della Vigilanza Rai dove dovrà ottenere i due terzi dei voti. Per gli altri consiglieri- sono sette - si esprimerà sempre la Vigilanza, ma senza il contributo del Pd che chiede da tempo una riforma della legge sulla Rai. Monti con questo ticket sembra aver tracciato la strada per una modifica di fatto della governance dell’azienda: più poteri a presidente e dg, meno al cda. In pratica un commissariamento.
È nel Pdl che si annida la quota maggiore di malumore rispetto alle scelte compiute dall’esecutivo. E le perplessità non restano confinate nelle segrete stanze del partito. «I nomi sono ottimi e non abbiamo nulla da obiettare » spiega Angelino Alfano. «Mi chiedo però perché sia stata sostituita la dottoressa Lei che aveva ottenuto ottimi risultati. Un’azienda si misura per i risultati». «È un’ingerenza gravissima - attacca Paolo Romani - il direttore generale deve essere nominato dal Cda, espressione del Parlamento. Tale ingerenza è ancora più grave in quanto Monti non ha superato alcun vaglio elettorale». Per l’esecutivo la replica è affidata a Corrado Passera.
Una banchiera alla Rai? «Può garantire capacità di governance e indipendenza e tirar fuori energie non valorizzate pienamente ». Auspici destinati ad affondare nella palude e nei bizantinismi di un’azienda impermeabile ai buoni propositi degli outsider.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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